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Venezia e Laguna sono a rischio, ma l'Unesco non se ne accorge

Con lo stop alle grandi navi in città la Serenissima ha evitato di finire nella lista dei siti a rischio, tuttavia un allarme globale era più utile. I pareri di Lidia Fersuoch di Italia Nostra e di Silvio Fuso, ex direttore di musei

Stefano Milianidi Stefano Miliani   
Venezia e Laguna sono a rischio, ma l'Unesco non se ne accorge
Turisti in piazza San Marco a Venezia nel 2006. Foto Andrea Mercola, Ansa

Dal primo agosto le “grandi navi”, quei giganti crocieristici che schiacciavano visivamente San Marco e i tetti di Venezia, che con la loro stazza provocavano deleteri moti ondosi, non possono più solcare le acque del Bacino e del canale di San Marco né del canale della Giudecca. Lo vieta un decreto legge del Consiglio dei ministri del 13 luglio scorso: stop al transito di colossi che superano le 25 mila tonnellate, i 180 metri di altezza facendoli apparire come grattacieli tra le case, che superano la lunghezza di 35 metri. Giusta decisione. Quei giganti devono dirottare su Porto Marghera. Solo un dettaglio: anche Porto Marghera fa parte della Laguna veneziana, complicando il discorso. 

L’Unesco ha scelto: la Serenissima e la Laguna non sono in pericolo

Tolta questa sorta di spada di Damocle dei colossi in mezzo al tessuto antico, il 22 luglio scorso il comitato del patrimonio mondiale dell’Unesco, durante la 44esima sessione (tenuta a distanza) da Fuzhou in Cina, ha deciso per la terza volta di non iscrivere Venezia e la laguna nella lista dei siti dell’umanità in pericolo. La politica italiana, a partire dal premier Mario Draghi, ha brindato perché, per un governo, è effettivamente una vittoria politica. Siamo però tutti così sicuri che la mancata iscrizione sia un bene per una per una città che soffre di molti mali a partire dal troppo turismo a discapito della vita ormai modificata dei cittadini per non parlare dell’acqua sempre più spesso alta? La decisione dell’organismo internazionale, presa nei giorni in cui avvertiva la Gran Bretagna che se costruisce un tunnel sotto Stonehenge infila il sito in quella temuta lista e lo esclude dall’elenco del World Heritage, è stata davvero dettata da ragioni squisitamente ambientali e di tutela di un luogo che è di tutti, di ogni essere umano? Non ha pesato il peso politico che l’Italia riveste nell’Unesco perché è uno dei suoi principali attori?

La scheda Unesco su Venezia e Laguna: clicca qui per l’italiano e qui per l’inglese

L'Italia trattata con i guanti

Il nostro Bel Paese va trattato con gran riguardo per più motivi: è tra i maggiori sostenitori finanziari dell’organizzazione educativa, culturale e scientifica dell’Onu fondata nel 1945; con l’iscrizione di “Padova Urbis Picta”, degli impianti termali di Montecatini in Toscana e con i portici di Bologna la penisola è arrivata a quota 58 siti; con il Ministero della Cultura e i carabinieri del Comando del patrimonio culturale l’Italia fornisce il preziosissimo e competente supporto dei “caschi blu” della cultura, ovvero militari addestrati al patrimonio culturale che intervengono dove c’è bisogno. A margine, si può ricordare che il braccio italiano dell’Unesco è nel bellissimo palazzo Zorzi ospite del Comune di Venezia (nulla di problematico al riguardo, onde evitare malintesi). Sia come sia, nella sessione di luglio il delegato dell’Etiopia (altro paese che aveva un sito scampato al marchio di pericolo) Henok Teferra ha preso parola contro l’inserimento di Venezia e laguna nella “danger list” e così è andata. Se fosse arrivata quella iscrizione, ne avrebbe parlato tutto il pianeta. Se un tassista di Atene, conversando delle temperature estive estreme e dei cambiamenti climatici, parla di mari che si alzano e di Venezia in pericolo, vuol dire che la Serenissima è nel cuore di milioni se non miliardi di persone anche se non ci hanno mai messo piede.

Lidia Fersuoch di Italia Nostra: “Dall’Unesco una scelta politica, non tecnica”

“Se l’Unesco ha fatto una scelta politica più che tecnica, mi chiede? Ho seguito tutta la giornata della sessione. Gli ispettori che erano venuti dissero chiaramente che un conto sono le valutazioni tecniche, un altro quelle politiche. Ce ne siamo accorti”. Il commento, amareggiato, è di Lidia Fersuoch, vice presidente della sezione di Venezia di Italia Nostra (clicca qui per il sito) e donna molto attiva da tanti anni. “La relazione degli ispettori su Venezia e laguna, che non sono separabili, era durissima, la bozza, detta draft, suggeriva di inserire la città nella danger list. Come sosteniamo dal 2011, con una nostra prima lettera”. Poggiando su quali motivazioni? “Peggio di così non si può. Venezia perde mille abitanti all’anno e adesso ufficialmente siamo 50mila ma molti risultano qui per motivi fiscali e risiedono da un’altra parte. Noi stimiamo di essere al massimo 40mila rispetto ai 170 mila degli anni ’50. Sparisce la cultura della città, come sparisce il dialetto veneziano”. Lo stop ai giganti del mare in città, dirottandoli su Porto Marghera, ha evitato quell’iscrizione tanto temuta ed è però benemerito. “La vicenda dimostra che lo Stato non ha capito – risponde l’esponente veneziana dell'associazione - Marghera è nella Laguna che con i suoi apparati morfologici è parte della città e va preservata come vanno preservate chiese e monumenti, i tecnici dell’Unesco lo sanno. Con mio marito abitiamo al Lido. L’altro giorno tornando in auto lui ha trovato il ponte chiuso perché i parcheggi erano pieni. Siamo tornati a prima della pandemia, con un turismo di un giorno che non porta benefici, con gente che si tuffa nei canali, peraltro inquinati. L’inserimento nella danger list avrebbe avuto un’eco mondiale, per noi si è fatto un passo indietro. I nodi verranno al pettine. Anche mettere la Laguna in capo al ministero delle Infrastrutture e non a quello dell’Ambiente o, volendo, dei beni culturali, la dice lunga sull’errore dello Stato. Abbiamo intenzione di preparare un libro bianco su tutti i danni del turismo estremo”.

Silvio Fuso: “Venezia è in pericolo ma l’Unesco non ha efficacia”

“Venezia è in pericolo da più punti di vista – risponde a Tiscali cultura Silvio Fuso, ora in pensione, già direttore di musei cittadini affascinanti come Palazzo Fortuny e Ca’ Pesaro – Lo è per l’over turismo prima dell’epidemia, per il clima, per l’equilibrio lagunare. Se l’Unesco avesse dichiarato la città in pericolo certo sarebbe stato un segnale forte però non sarebbe cambiato molto: credo che queste stimabili agenzie abbiano un’efficacia di indirizzo e di veicolare l’opinione del pubblico piuttosto relativa. A mio parere uno dei maggiori pericoli invece è la mancanza di una visione sui destini della città, tranne l’eccezione commendevole della Biennale non c’è una visione culturale più ampia”.

Grandi navi a Porto Marghera: investimenti e punti critici 

Tornando alle grandi navi: fare attraccare i giganti dell’acqua a Porto Marghera imporrà di ampliare i principali canali del bacino lagunare centrale affinché possano accogliere l’aumento di traffico navale. Portare quelle navi a Porto Marghera, far attraversare loro il Canale dei Petroli, a detta del comitato No Grandi Navi può tuttavia avere effetti deleteri sull'equilibrio e sul traffico marino in zona e minare prospettive di riconversione ecologica del sito. Per gli approdi temporanei a Marghera il decreto legge prevede investimenti da 157 milioni, 131 milioni per il trasporto pubblico locale, interventi per compensare le perdite degli operatori economici ovvero anche le società crocieristiche, per sostenere i lavoratori del settore (questo è un argomento da non sottovalutare). Un concorso di idee pubblicato il 29 giugno scorso dall’Autorità portuale dovrà portare ai progetti per costruire i primi nuovi approdi a Marghera a partire dal prossimo anno. Un obiettivo dichiarato dal governo: creare infrastrutture in grado di reggere gli effetti dei cambiamenti climatici.

Dall'over turismo all'ecosistema lagunare: i problemi in sospeso 

Gravi problemi restano tuttavia irrisolti e l’Unesco sembra aver sorvolato o rimandato il discorso. Giusto per ricordare alcuni nodi segnalati all’organismo stesso da una missione Joint World Heritage Centre/Icomos/Ramsarsar del 2020: l’over-turismo ha stravolto la città e la vita urbana; gli abitanti calano ogni anno; il fragilissimo ecosistema lagunare rischia di venire stravolto in modo irreversibile dall’azione umana e dai cambiamenti climatici; intorno alla città servirebbe una zona “cuscinetto”, di protezione del sito. Le grandi navi erano un altro problema in sospeso. Lo stop al transito in città ha avuto il suo effetto, tra i membri del Comitato del patrimonio mondiale. Richieste? Entro il 1° dicembre 2022 l’Italia dovrà presentare un rapporto su Venezia e Laguna che l’Unesco discuterà nel 2023. Senza fretta. Allora tornerà a parlare di ingresso nella “danger list”? Il tempo passa, anzi il tempo stringe.

  

Stefano Milianidi Stefano Miliani   
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