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Torri Gemelle, un simbolo passato alla storia con l'11 settembre: il significato e l'effetto paradossale

Ugo Carughi, studioso di architettura moderna, spiega cosa significavano i due grattacieli di New York e un effetto paradossale dell’attentato e della tragedia dei tremila morti

Stefano Milianidi Stefano Miliani   

In quel tragico 11 settembre di venti anni fa gli attentatori di Al Qaeda, lanciando i due aerei sulle Twin Towers, sterminarono nella sola New York tremila persone e la storia, anzi la convivenza nel pianeta, è virata in peggio. Tra gli infiniti motivi di riflessione ci si può chiedere cosa significavano le Torri gemelle, per ricordare cosa erano quei simboli dell'occidente che i terroristi elessero a bersaglio.

La coppia di grattacieli nella Lower Manhattan era parte del World Trade Center, un complesso di sette edifici progettato a metà anni '60. La Torre 1, la North Tower, fu inaugurata il 15 dicembre 1970 e raggiungeva i 417 metri d’altezza. La Torre 2, la South Tower, inaugurata nel settembre 1971 toccava i 415,1 metri. Superarono in altezza l’Empire State Building, sempre a Manhattan, guadagnando il titolo di edifici più alti del mondo, record mantenuto però brevemente, solo fino al 1973. Gli architetti autori del progetto furono Minoru Yamasaki con Emery Roth & Sons e come, ricorda Wikipedia, nella loro essenzialità e con finestre dagli affacci strettissimi i grattacieli stilisticamene venivano inquadrati nel “New Formalism”.

Ugo Carughi: "Gli attentati alle Torri? Erano l'identità dell'occidente" 

«L’attentato ha fatto passare le Torri Gemelle alla storia, l’attacco è stato anche un riconoscimento del loro ruolo mondiale, anche se già erano un simbolo evidente di New York. Lo dimostrò un attentato precedente del 1993. Quindi si è verificata la singolare circostanza, paradossale, che gli attentati sono verifiche della coincidenza tra architettura e identità di una città, di una nazione se non di una cultura, in questo caso quella occidentale, se così si può dire». La riflessione è di Ugo Carughi, architetto, napoletano del 1948, ex presidente della Do.Co.Mo.Mo., ramo italiano dell’associazione per la documentazione e la conservazione degli edifici e dei complessi urbani moderni, già direttore nella soprintendenza ai beni architettonici partenopei dal 1979 al 2013.

 

Le Torri Gemelle durante gli attacchi dell'11 settembre 2001. Foto Ansa / Tecnavia

 

"Le Twin Towers parte di una serie a termine come i ponti di Morandi"

«Spesso ci sono luoghi e costruzioni che rappresentano un fattore identitario e magari non ce ne accorgiamo, non siamo consapevoli. Né si può raggiungere questa consapevolezza fissando un segmento temporale astratto, per esempio 30, 50 anni o 70 anni come avviene in Italia: il tempo non è uguale per tutte le opere e per una valutazione dell’importanza di un’opera è importante il giudizio critico, la letteratura storiografica, bisogna guardare non solo all’opera ma a tutte quelle che con quella hanno aspetti espressivi, tecnologici e funzionali comuni – prosegue l’architetto – Si può considerare un’opera come parte di una serie che è terminata». Per fare un esempio familiare a tutti, lo studioso cita il ponte di Genova crollato tre anni fa: «È uno dei ponti “strallati omogeneizzati” di Morandi di cui ci sono altri cinque esemplari nel mondo, compresi uno vicino a Potenza e uno vicino a Roma, e che non si sono più costruiti. Così le Twin Towers appartengono a una famiglia di grattacieli dalla tecnologia non più seguita da tempo».

"Una essenzialità espressiva e icone anche per il cinema"

Invitato a inquadrare stilisticamente le Torri Gemelle, Carughi le incasella in un filone che parte da Le Corbusier, «architetto che ha influito molto sull’architettura europea e americana». Le Twin Towers avevano «una essenzialità espressiva e la forma era in simbiosi con la loro funzione di centro del commercio mondiale». Le facciate, ricorda, avevano finestre molto strette e quindi una struttura che condizionava la luminosità interna; e avevano montanti verticali distanziati 46 centimetri l’uno dall’altro che «valorizzavano lo sviluppo in altezza. Quindi avevano un’immagine esteriore pienamente coerente con le dimensioni complessive e svettavano nell’ambiente urbano. Da un punto di vista architettonico erano il simbolo di New York, tanto è vero che nel cinema la loro presenza diventava un’icona».

«Dall'esterno facevano un'impressione notevole»

Al di là del giudizio critico a Carughi studioso di architettura piacevano? «Ci sono stato nel 1999. Mi colpiva la loro essenzialità, come enormi oggetti che mettevano fuori scala tutto l’intorno urbano con la loro semplicità. Non posso dire se mi piacevano o meno, non ho visitato gli interni, dall’esterno comunque facevano un’impressione notevole. Ma ne abbiamo sentito immediatamente la mancanza per la tragedia dei tremila morti e per gli aspetti sociali. E il fatto che fossero due non è solo numerico: ne accresceva la valenza di immagine, perché due ha un significato di replica, come se potessero essere replicate anche in numero maggiore».

  

 

Stefano Milianidi Stefano Miliani   
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