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Frida Kahlo, quando il mito sovrasta l'artista

Un libro della studiosa Helga Prignitz-Poda ripercorre la dolorosa biografia e le opere della pittrice diventata un'icona: interpretata anni fa da Salma Hayek, è anche oggetto di un marketing sfrenato. Proviamo a capire perché la sua figura colpisce tanto

Stefano Milianidi Stefano Miliani   

Nella sua pittura prorompe la vitalità di un’esistenza costellata di tormenti e di passione, le cronache intorno al suo nome pullulano di cliché. La casa editrice Jaca Book ha licenziato or ora, fresca di stampa, la traduzione della monografia Frida Kahlo. L’artista e l’opera (264 pagine, 50 euro). L’ha pubblicata nel 2003 la storica dell’arte esperta di cultura figurativa latino americana Helga Prignitz-Poda. Con un’introduzione al pubblico italiano affidata allo psichiatra Francesco Barale, il volume sulla pittrice messicana vissuta dal 1907 al 1954 è strutturato in due parti. Nella prima, con il titolo “La Gran Ocultadora - La Grande Occultatrice”, Helga Prignitz-Poda ripercorre le vicende e l’opera dell’artista intrecciando biografia e dipinti; nella seconda sezione, da pagina 71 a pagina 255, la studiosa pubblica le foto di 42 quadri ognuno preceduto da una sua scheda. A confermare la fortuna postuma del marchio della pittrice, l’editore Taschen ha appena pubblicato in inglese Frida Kahlo. The Complete Paintings (624 pagine, 150 euro), dove la storica dell’arte Luis-Martin Lozano con Andrea Kettenmann e Marina Vazquez Ramos documenta i 152 dipinti dell’artista, più foto, lettere, pagine diaristiche e una biografia (clicca qui per la scheda editoriale, in inglese). 

Fu scoperta dalla critica femminista

Della pittrice scoperta a livello internazionale dalla critica d’arte femminista negli anni ’70, Helga Prignitz-Poda, riepiloga le sofferenze fisiche spesso indicibili, gli amori, le sue contraddizioni, le passioni erotiche, la fede marxista, la complessa psicologia, i tormenti: il tutto con una scrittura chiara senza cadere nel sensazionalismo né nel pietismo per tanto dolore riscattato dall’arte e dalla passionalità. Per citare un esempio: l’autrice rileva che qualche problema deve esserci stato con il padre, ma in assenza di documenti o testimonianze, e di parole della diretta interessata, ne accenna e non avanza illazioni. D’altronde è complicato maneggiare bene Frida Kahlo: è diventata un’icona e, al contempo, uno strumento di marketing micidiale.

Le mascherine, il contest, il film con Salma Hayek 

Nella critica d’arte qualcuno solleva un dubbio: il fenomeno mediatico e culturale intorno a Frida Kahlo non danneggia una vera comprensione della sua pittura? Più sotto ci torniamo, frattanto ricapitoliamo qualche fatterello tra i tanti possibili sulla Kahlo-mania che attraversa buona parte del globo. In primavera l’Ansa ha fotografato persone che indossavano mascherine con il ritratto dell’artista messicana. A San Diego in California a luglio una mostra di artisti ispirati alla pittrice messicana è stata accompagnata da un “contest” di donne vestite alla maniera della pittrice perché Frida Kahlo ha fatto anche del vestire in abiti tradizionali messicani un marchio della sua forte personalità.

Alle grosse aste i suoi dipinti viaggiano sui milioni di euro mentre il cinema le ha riservato più di un ritratto. Il Torino Film Festival del 2019 proiettò il docu film di Giovanni Troilo Frida viva la vida, andando sulle tracce della pittrice nel suo Messico (clicca qui per la scheda),  mentre nel 2002 la regista Julie Taymor adattò per il grande schermo Frida: A Biography of Frida Kahlo di Hayden Herrera in un film hollywodiano con una star del calibro di Salma Hayek nel ruolo della pittrice ottenendo sei nomination e l’Oscar per il trucco e per la miglior colonna sonora originale. Il volto della pittrice, con quelle inconfondibili sopracciglia unite che l’hanno resa inconfondibile e, riconosciamolo, al di fuori dai cliché maschili sulle donne, si riverbera ovunque: è finito su un francobollo statunitense, su una banconota messicana e, quanto allo sfruttamento commerciale della sua immagine, lo si ritrova su tazze, scarpe, cuscini mentre nel 2018 la Mattel ha prodotto una Kahlo Babie Doll. Si chiama marketing.

Un corpo martoriato diventa protagonista 

Perché cattura tanto? Quanto incide la sua vita nella fama? Moltissimo. Frida Kahlo ha fatto del suo corpo martoriato un tema portante della sua pittura. A 18 anni un incidente quasi la uccise e le divise la vita in un prima e in un dopo: «In uno scontro, un corrimano divelto di un tram la perforò da parte a parte, spezzandole la colonna vertebrale, lacerando numerosi organi interni e uscendo dalla vagina», ricorda Barale nell’introdurre il lavoro di Helga Prignitz-Poda. Da quel giorno iniziò un calvario infinito di interventi chirurgici, patimenti, il tentativo finito male di avere figli dal marito e pittore muralista Diego Rivera, una sofferenza, interiore, non solo fisica, e una resistenza che si protrassero fino all’amputazione della gamba destra nel 1953 e alla morte nel 1954, quando Frida non era nemmeno cinquantenne. Con una bella dose di sfrontatezza, o di coraggio, spiattellò in forma di immagini la propria disabilità fisica. 

Gli ingredienti del mito travolgono l'opera?

Entrano allora sul piatto gli ingredienti del mito. Nella sua resistenza al dolore tramutata in arte forse tante e tanti possono trovare una spinta, un incoraggiamento inconscio, magari il desiderio di rispecchiarsi in una volontà ferrea e la capacità di volgere in forma creativa le proprie sfortune. Dopo di che nel mix della notorietà entrano in gioco i suoi amori: non ebbe solo un marito già famoso, Diego Rivera, che scoprì assai infedele (si sposarono due volte, la seconda con il patto di libertà reciproca), la pittrice conobbe l’amore di uomini e di donne. Il che, semplificando, l’ha elevata a icona del mondo Lgbt+ e a donna che non si fa domare. Frida Kahlo ha reso la sua esistenza e la vita arte e il pubblico mondiale la ripaga con una fama che, inizia a chiedersi qualcuno, non danneggerà proprio la visione della sua pittura? Se lo è chiesto Michael Prodger, nel numero di gennaio-febbraio 2021 del mensile britannico conservatore The Critic. Per Prodger lei ha agito come una donna del suo tempo, per di più disabile, la quale doveva trovare un modo per farsi ascoltare, ma alla fin fine i/le fan, «strombazzandola come una martire o una mater dolorosa per qualsiasi tema che vada dal femminismo alla fluidità razziale e sessuale fino all’anti-colonialismo e all’anticapitalismo le rendono un pessimo servizio». È la voce di un mondo politicamente conservatore, d’accordo, e con quegli ideali non è tanto in sintonia, eppure il critico rileva come il consumo del personaggio-star danneggi una comprensione profonda dell’arte.

Helga Prignitz-Poda va oltre in "santino" di Frida

Helga Prignitz-Poda la comprende: «Contemporaneamente a fama e successo aumenta anche la sofferenza interna. Dalla sua ben nascosta insicurezza si svilupparono sempre più forti sentimenti di inadeguatezza e mancanza di valore. Cercò di sottrarsi alla disperazione attraverso i suoi autoritratti, che utilizzò come una forma di psicoterapia. Avvolti tristemente dalla luce fredda di cieli coperti e senza sole, la sua immagine specchio, il più delle volte schermata sullo sfondo da un ornamento di foglie, lancia interrogativi e imperativi esistenziali: chi sono io? Come sono diventata ciò che sono? Come è possibile che voi non capiate nulla di me? Non toccatemi! Il mio io non può essere toccato!», appunta a pagina 54 la storica dell’arte. Andando ben oltre il “santino” Frida Kahlo.

 

Stefano Milianidi Stefano Miliani   
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