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"I Bronzi di Riace sconvolsero l'Italia e diventarono star grazie a Pertini". Il mistero del terzo Bronzo

Iniziative per i 50 anni dal ritrovamento in mare il 16 agosto 1972. Maurizio Paoletti: "Le due sculture sono come migranti ma devono stare a Reggio Calabria, non andare in tour". Potrebbe esserci un terzo bronzo? "I dati dicono di no, ma per uno scudo, un elmo e una lancia il discorso cambia"

Stefano Milianidi Stefano Miliani   

Muscolatura perfetta, portamento fiero, il bronzo A ha riccioli e una fascia in testa, il bronzo B ha un copricapo che forse rappresenta un berretto di volpe, l’occhio destro cavo, una ampia fessura sul retro del cranio. Si ergono sui piedistalli del Museo nazionale di Reggio Calabria, la loro legittima sede, i Bronzi di Riace. Il 16 agosto 1972 nei fondali della cittadina calabra furono scoperti durante una battuta di pesca subacquea le due statue greche. Da allora “hanno sconvolto i criteri tradizionali con cui conoscevamo l’arte greca”, annota a Tiscali Cultura Maurizio Paoletti, archeologo, professore all’Università della Calabria, co-firmatario e curatore insieme a Salvatore Settis di un illuminante volume di qualche anno fa sulla coppia di capolavori e su come sono stati sfruttati: “Sul buono e sul cattivo uso dei bronzi di Riace” (Donzelli editore, 2015, pp. 116). Cattivo uso, ricordiamolo, perché alle immagini di questi modelli di bellezza morale prima che fisica è capitata una sorte ben strana: sono state sfruttate per spot assurdi (un spot li animava in modo perfino patetico), per pubblicità improprie e ridicole in spiagge e bancarelle, perfino in un fumetto erotico, mentre, periodicamente, li bersaglia un interrogativo: i due bronzi naufragati non avevano compagni? C’era o potrebbe essercene un terzo?

Le iniziative per due capolavori scampati al naufragio della storia 

Del terzo uomo o meno diciamo più sotto. Intanto a cinquant’anni dalla scoperta alla Camera dei Deputati la Regione Calabria e la Città Reggio Calabria hanno presentato alla Camera dei Deputati le loro celebrazioni “Bronzi50 1972-2022” per i cinquant’anni dal ritrovamento in una conferenza seguita da convegno e a cui hanno partecipato tra altri i ministri per il sud e la coesione territoriale Mara Carfagna e quello della cultura Dario Franceschini. Tra gli appuntamenti da agosto a ottobre è in calendario la mostra all’Archeologico “I Bronzi di Riace cinquanta anni di storia” riepiloga la scoperta, i restauri, le esposizioni, il pubblico attraverso foto dagli archivi del museo stesso e della soprintendenza calabrese.  

Mentre qui sotto trovate il link alle iniziative in programma per i cinquant’anni dal ritrovamento dei due capolavori, ricordiamo che vengono datati pressappoco tra il 460 e il 420 a.C., che sono scampati al naufragio della storia grazie, paradossalmente, al loro naufragare nelle acque calabresi, e che non sappiamo con certezza chi o cosa rappresentino.

Clicca qui per le iniziative “Bronzi50 1972-2022”

Maurizio Paoletti: "Star quasi per caso" 

Approfittiamone allora per ricomporre quest’avventura con il docente di archeologia classica nell’ateneo calabrese e studioso della Magna Grecia che ha partecipato alla giornata alla Camera e muovendo da una domanda: perché i due bronzi sono amati come rockstar o il David di Michelangelo quando la statuaria classica non accende mai analoghi entusiasmi? “Lo sono per circostanze anche casuali – risponde – La modalità della scoperta suggestionò molto l’opinione pubblica, ma l’impatto nel 1972 rimase locale. Il fenomeno iniziò nel dicembre del 1980 a Firenze dove le due sculture erano state trasportate perché a Reggio Calabria non c’era un laboratorio di restauro adeguato. Io ero appena laureato, li vidi all’inaugurazione della mostra fiorentina a restauro finito e dapprima rimase una cosa per amatori e addetti, non c’era neanche un catalogo. Ma, per l’imponderabile della storia, scattò un passa parola, se ne interessò un turismo attento, non quello di massa, ci furono polemiche se riportarle subito a Reggio o tenerle a Firenze. Poi li volle in mostra al Quirinale un presidente amatissimo come Sandro Pertini”. La via della fama crescente era definitivamente spianata. 

Le polemiche sulla sede: Roma, Firenze o Reggio Calabria? 

La meta finale era il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria oggi diretto da Carmelo Malacrino. Non senza discussioni, appunto. Firenze, che grazie alle sue strutture e capacità di restauro aveva risanato le due statue dopo oltre due millenni sott’acqua, si sentì pur impropriamente scippata. Più voci reclamarono Roma come sede perché nella capitale molte più persone avrebbero visto da vicino i due esempi di bellezza. Invece è giusto che alloggino nel museo nazionale più prossimo al ritrovamento, Reggio Calabria, anche se non sono bastati a rendere la città quella meta di un turismo a frotte che alcuni aspettavano. Sulla sede Paoletti concorda: “Sono nella loro casa naturale, nel loro contesto, in un museo in sintonia con la Magna Grecia”. E chiosa: “Ricordo tra l’altro l’importanza del fatto che l’università della Calabria studia il patrimonio culturale calabrese”.  

Clicca qui per il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria

L'archeologo: "Non devono andare in tour e lasciare il museo"

Se la dimora è accettata, periodicamente salta fuori qualcuno che vuole imporre ai due bronzi trasferte a tempo nonostante le ricerche abbiano evidenziato palesi fragilità. Berlusconi da premier li voleva a un G8 alla Maddalena, Sgarbi li voleva all’Expo a Milano, ogni tanto fioccano idee per farne dei presunti “ambasciatori” culturali. “Non c’è motivo scientifico né culturale per far girare loro il mondo, sono nel giusto microclima nel museo, le analisi archeometriche hanno rilevato criticità interne alle sculture – dice l’archeologo – Oggi possiamo farle viaggiare virtualmente con l’archeologia digitale, quella immersiva, creare ricostruzioni con strumenti impensabili vent’anni fa. E noi archeologi possiamo raccontarli per una nuova visione del mondo contemporaneo: le statue ci aiutano a immaginare il futuro, non il passato, perché parliamo di una cultura viva, non fredda, non da frigorifero”.

Paoletti: "No all'abuso delle loro immagini"

Come documenta nitidamente il libro di Paoletti e Settis, nel 1980 di fronte alla notorietà delle sculture gli archeologi si chiusero a riccio, non compresero l’amore del pubblico, favorendo peraltro la circolazione di tesi farlocche e di personaggi in cerca di fama: non capivano che accadeva qualcosa di nuovo. “In questi cinquant’anni sono diventate icone pop con molti usi e abusi. Nel mondo antico la bellezza fisica conferma qualità morali ma quando un artista francese li travestì e rese icone gay in un video restava solo la bellezza fisica”. Il problema, mette in chiaro Paoletti a scanso di malintesi, non era la declinazione gay: “Era che si perdeva la sostanza del passato. Invece le due sculture hanno sconvolto i criteri tradizionali dell’arte greca come la conoscevamo. Gli originali in bronzo erano innumerevoli, ma vennero tutti fusi e sono rimasti solo quelli finiti in mare come l’atleta di Fano, il bronzo di Lussino o il satiro di Mazara del Vallo”.

 

Folla al ritrovamento di uno dei Bronzi di Riace nel 1972 nei pressi di Riace (Reggio Calabria) Fonte Ansa / copyright Ernesto FRANCO Bivongi

 

"I due bronzi sono dei migranti" 

Le due sculture, alte 1,98 metri la A e 1,97 la B, sono state usate anche per rivendicare una presunta identità regionale, in realtà in modo improprio: “Vengono sicuramente dalla Grecia, sono testimoni muti di un passato, non sono calabresi – interviene Paoletti – Sono in realtà due migranti che anticipano quelli di oggi che sbarcano sul mare di Riace, e mi viene da pensare al sindaco Mimmo Lucano. Sono testimonianze di un passato che noi archeologi dobbiamo interrogare”. A proposito: periodicamente si sente parlare di un terzo bronzo che manca all’appello insieme a uno scudo, una lancia, un elmo, con polemiche annesse.

 "Il terzo bronzo? Non esiste"

 “Ho avuto la fortuna di potermi immergere tra quegli scogli e mi è servito molto per rendermi conto dei fondali – ricorda Paoletti – Abbiamo filmati, foto del recupero, la relazione dei carabinieri, nessuno di questi documenti autorizza a pensare a un terzo bronzo. Quando si parla di ‘gruppo di statue’ si dimentica che per gli storici dell’arte e gli archeologi anche due sculture in relazione tra loro formano un gruppo”. Ma Stefano Mariottini, il sub cui è attribuita la scoperta dei bronzi, contestata a suo tempo da quattro ragazzi ma confermata da un tribunale, non aveva parlato di un terzo bronzo? “Non è un archeologo, con tutto il rispetto è come se parlassi io di medicina”.

"Scudo, lancia ed elmo, qui l'ipotesi è aperta" 

Invece l’ipotesi di uno scudo, una lancia, un elmo regge? “Secondo l’interpretazione più consolidata le due statue erano imballate nello scafo di una nave, pesavano centinaia di chili. Sculture così si smontano e dei pezzi potevano stare in casse minori. Possono esserci indizi della presenza di uno scudo, di una lancia, di un elmo tenendo però conto che la nave può essere naufragata a un chilometro di distanza, è una costa sabbiosa con scogli affioranti e ghiaia, non si sono mai condotte indagini su un’area così estesa. Abbiamo inoltre due incognite: non sappiamo quanto è cambiata la linea della costa da allora né l’epoca del naufragio. Non mi meraviglierebbe la presenza di uno scudo, chissà se c’era e dove è finito, certo non è all’estero, lo sapremmo”.

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