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Da Lisippo a Michelangelo, quanta arte ha perduto l’Italia

In questa intervista il giornalista e scrittore Fabio Isman ricorda i capolavori rubati e quelli venduti dal nostro Paese: dal sarcofago etrusco a Caravaggio. Una nuova legge rende più severe le pene per i ladri di opere

Stefano Milianidi Stefano Miliani   

Peter Arrell Brown Widener, miliardario di Filadelfia morto nel 1915, a inizio ‘900 fece montare un tubo di scappamento cromato per ogni lato dell’auto senza che quei tubi potessero collegarsi al motore. Una bizzarria estetica? Nient’affatto. Il ricco nordamericano spedì l’auto a Genova. Nella città ligure nascose, arrotolate, tele del pittore fiammingo Antoon Van Dyck comprate dalla famiglia genovese dei Cattaneo. Da molti decenni quei dipinti sono alla National Gallery di Washington. È una delle tante vicende dell’arte della penisola finita all’estero. Una storia infinita. Che un giornalista e scrittore come Fabio Isman ha raccontato in libri tanto fitti di notizie quanto gustosi perché sanno ritrarre la varietà del genere umano tra piccolezze, ruberie, menzogne, furti e di contro azioni di coraggio e la caparbietà di tante persone oneste nello scovare i criminali.

Già al Piccolo di Trieste e penna di punta del Messaggero di Roma, inviato anche di guerra che ha lavorato anche nella cronaca nera e giudiziaria e in grado di scovare notizie ignote ai più, Isman ha pubblicato oltre quaranta libri. Per quanto interessa qui, citiamo alcuni titoli: “I predatori dell’arte perduta. Il saccheggio dell’archeologia in Italia” (Skira editore, 156 pagine, 2009, 19 euro); “L’Italia dell’arte venduta. Collezioni disperse, capolavori fuggiti” (Il Mulino, pp. 273, 2017, 16 euro, da queste pagine viene l’episodio del Van Dyck nel tubo di scappamento); l’ultimo è dell’anno scorso, “Quando l’arte va a ruba” (Giunti, pp. 224, 2021, 29 euro). La materia prima non si esaurisce, il furto di reliquie di San Nicola a Bari di pochi giorni fa ce lo rammenta, l’emorragia di opere non è mai finita. Qualcosa però è cambiato: la Camera a febbraio ha finalmente approvato in via definitiva un disegno di legge a firma Dario Franceschini-Andrea Orlando già passato al Senato nel 2017 e che inserisce un nuovo titolo nel Codice penale: “Dei delitti contro il patrimonio culturale”.

Allora Isman, cosa comporta la nuova legge sui reati contro il patrimonio culturale?

Prima nessuno pagava per quel tipo di reati, ora forse qualcuno pagherà. La legge rende più severe le pene per chi trafuga arte da musei, chiese, case private, per chi fa ricettazione, per chi scava e prende un’opera dal terreno: in Italia dal 1909 è reato appropriarsi di qualunque opera d’arte nel sottosuolo, è dello Stato anche se scavo e la trovo sotto la cantina di casa mia.

Tra gli effetti concreti?

La legge allontana i termini della prescrizione come invece è accaduto in moltissimi processi. La prescrizione partiva da quando era stato effettuato lo scavo clandestino, così bastava che uno tenesse un pezzo nascosto per dieci anni che quando lo tirava fuori già veniva prescritto il reato. Inoltre la nuova legge permette ai carabinieri del Comando per la tutela del patrimonio culturale di indagare sotto copertura ed è fondamentale perché gli oggetti da ritrovare sono tantissimi: esiste il pentito di mafia, quello di terrorismo, non è mai esistito un tombarolo pentito,  nei furti d’arte vige un’omertà assoluta.

Clicca qui per un articolo di Sara Occhipinti, avvocato, sul sito Altalex sulla nuova legge sui reati contro il patrimonio culturale

Si può quantificare quanto è illecitamente all’estero?

Le indagini del pubblico ministero Paolo Giorgio Ferri (1947-2020) iniziate nel 1995 accertarono che almeno 47 grandi musei del mondo possiedono materiali importanti scavati clandestinamente in Italia. Di questi una decina ha restituito parte degli oggetti tramite accordi extra-giudiziali.

I pezzi più clamorosi ancora fuori?

Il cosiddetto “Getty Bronze” al museo dell’istituto di Los Angeles è il più clamoroso e mi dà molto fastidio che lo si chiami così. Si tratta di un atleta vittorioso greco, per alcuni dell’artista Lisippo, nel 1964 finito nelle reti di un peschereccio italiano al largo di Fano, nelle Marche. Quindi non interessa che sia stato pescato in acque internazionali o meno come dicono i legali del Getty: una nave italiana è territorio del nostro Paese. La scultura venne sbarcata a Fano, nascosta in un campo di cavoli, quindi in territorio italiano, un prete la nascose in una vasca da bagno, fu venduta al Getty per quattro milioni di dollari negli anni ’70. Dopo una serie interminabile di processi la giustizia italiana ha proclamato due volte la confisca, se n’è occupata la corte costituzionale, si tratta solo di far applicare la sentenza negli Stati Uniti.

Altre opere?

Grazie alle indagini del giudice Ferri in Svizzera sono stati compiuti grandi sequestri di migliaia di oggetti e di foto, con molte polaroid di oggetti appena scavati. C’è uno splendido sarcofago da Cerveteri, meno bello di quello al Louvre e più bello di quello a Villa Giulia a Roma. Nella polaroid gli mancano i piedini. Il giorno dopo il sequestro i carabinieri e gli archeologi trovarono il buco dello scavo a Cerveteri e, lì, i piedini che ora sono a Villa Giulia e dimostrano l’autenticità e la provenienza del pezzo.

Si sa dov’è?

È in Svizzera. Lo cercano e prima o poi salterà fuori.

Tra i dipinti cosa manca, di maggior rilevanza?

Il quadro più importante rubato in Italia è la “Natività” di Caravaggio portata via dall’Oratorio di San Lorenzo a Palermo nel 1969. Si è sempre detto che lo prese la mafia, i pentiti hanno raccontato cose diverse, per qualcuno il dipinto è finito in pasto ai maiali, per qualcuno esiste ancora. A Cracovia un ritratto di giovane uomo di Raffaello, acquistato a Venezia ai primi dell’800, venne razziato dai nazisti. Sparito.  

 

Il giornalista e scrittore Fabio Isman

 

L’8 agosto 1939 venne varata una legge che ha segnato uno spartiacque per la tutela dei beni culturali, la numero 1089 di quell’anno firmata dall’allora ministro Giuseppe Bottai. Si sa quante opere siano state trafugate o vendute dopo quella data?

Non se ne ha la più pallida idea. A oggi i carabinieri del comando di tutela hanno restituito circa 3 milioni di opere di tuti i tipi e recuperano il 50% di quanto rubato. Le statistiche pre-Covid parlano di 350 furti d’arte all’anno circa e se si considerano anche gli oggetti scavati illegalmente si arriva a cinque pezzi archeologici all’ora. La loro banca dati comprende 1,3 milione di opere da ritrovare. Va detta però una cosa.

Clicca qui per il sito del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale

Quale?

A 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale non passa settimana senza che da qualche parte mondo non inizi una rivendicazione o un processo per opere portate via dai nazisti. Dividerei questa categorie in quattro gruppi. Le opere che erano state prese per il museo che Hitler voleva a Linz, in Austria, in gran parte sono state recuperate, come quelle che aveva razziato Goebbels. Invece molte delle opere portate via dai soldati in fuga non sono state ritrovate. Ci sono numerosi centri di ricerca, spesso degli eredi dei proprietari. Un progetto attuato da un discendente del console a Parigi Giuseppe Di Giovanni, al quale i nazisti portarono via la collezione d’arte, aveva trovato un bellissimo “Cristo portacroce” del Romanino alla Pinacoteca di Brera a Milano: il museo lo ha restituito e il dipinto è andato all’asta. Oppure la maschera di un satiro, o testa di fauno, di Michelangelo: era al museo del Bargello di Firenze, venne ricoverato in un castello vicino ad Arezzo, i nazisti la presero e non se n’è saputo più nulla.

Ma molta arte è stata venduta dai proprietari italiani, no?

L’arte si è sempre venduta. A fine ‘800 Vettor Zusto conte di Bagnolo, di nomina austriaca, vendette di nascosto alla National Gallery di Londra un quadro straordinario del Veronese, “La famiglia di Dario ai piedi di Alessandro”, perché non voleva che le tre figlie maritate questionassero sull’eredità. Nel contratto scrisse che il 12% dellla vendita spettava ai custodi di Ca’ pisani “per compensarli della futura mancanza delle sportule”, cioè delle mance lasciate dai turisti. Oppure i due “Prigioni” di Michelangelo al Louvre: la famiglia dei banchieri fiorentini degli Strozzi li regalò al re di Francia sperando di avere delle armate per spodestare gli odiati Medici ma il re si prese le sculture e non dette i soldati.

Né si possono certo richiedere.

Viene restituito quello che i nazisti hanno portato via e non cade in prescrizione e vengono restituiti i beni portati via dopo il 1970, quando 136 Paesi hanno ratificato una convenzione dell’Unesco: da quel momento gli oggetti devono avere un pedigree più antico. Quando un oggetto è fuori è molto complesso rivendicarlo se è stato pagato. Nel 2011 a Perugia un dipinto molto bello di Jusepe de Ribera ottenne l’attestato di libero transito perché l’ufficio esportazione non lo riconobbe e fu venduto come opera di anonimo. Lo comprò un antiquario di Madrid e da lì è arrivato al Metropolitan di New York.  Non puoi farci nulla. Il museo newyorkese ha anche una biga etrusca scoperta più di un secolo fa a Monteleone, presso Spoleto: chi la trovò la vendette. Non puoi obbligare il museo alla restituzione. 

Ogni tanto qualcuno favoleggia di far tornare in Italia la “Gioconda” di Leonardo.

È una balla. Leonardo la portò non finita in Francia, lui stesso o l’allievo Salai la vendettero al re di Francia, il quadro è francese.

 

Stefano Milianidi Stefano Miliani   
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