Nuove tendenze: l’arte esperienziale, croce e delizia di mostre e musei

Si moltiplicano gli eventi d’arte a misura di selfie e la critica si divide. I luoghi forse un po’ elitari si sono rinnovati nel tempo dotandosi di audio guide, visite per gruppi e laboratori didattici

Nuove tendenze: l’arte esperienziale, croce e delizia di mostre e musei

In principio fu il museo, luogo sacro e gotha della sapienza esposta in teche a beneficio di chi guarda in cerca di bellezza. E poi? Questi luoghi forse un po’ elitari si sono rinnovati nel tempo dotandosi di audio guide, visite per gruppi e laboratori didattici, iniziative particolari che miravano a un maggiore coinvolgimento di pubblico.

L’arte è esperienziale?

È stata ben studiata la sindrome di Stendhal, quella che davanti a certi capolavori genera in chi osserva uno smarrimento a metà tra mistica e terrore, ma oggi, in un’epoca dove le immagini ad alta definizione e gli effetti speciali hanno raggiunto il loro zenit cosa ci aspettiamo da una mostra? Se lo sono chiesti e hanno dato una risposta gli ideatori delle varie esibizioni come “Van Gogh experience” o “Klimt experience”, dedicando progetti a pittori molto amati e rivisitati in una chiave diversa, immersiva e che consente in qualche modo allo spettatore di diventare protagonista. Molti musei hanno creato aree attrezzate per i selfie, i visitatori sono invitati a condividere la loro visita con dirette Instagram, reel su TikTok e a utilizzare hastag predefiniti per la massima diffusione. Tante serie e paludate istituzioni, come i Musei Vaticani o la Galleria degli Uffizi, hanno fatto il loro ingresso nel mondo dei social e in altrettanti hanno seguito la tendenza individuata da luoghi come l’Ice Cream Museum di Los Angeles o il Color Factory di San Francisco, spostando il focus non sulla collezione ma sul come può essere vissuta dallo spettatore. Un cambio di vista radicale che ha fatto registrare, per esempio, un boom di ingressi agli Uffizi di Firenze nei giorni immediatamente successivi a quello in cui, nel luglio 2020, che Chiara Ferragni ha postato un selfie scattato lì.

Croce o delizia?

Già dal 2015 il fenomeno di “selfiezzazione” dell’arte ha destato più di un dubbio, rivelandosi per molti niente più che monumento al narcisismo quotidiano. Ma i pareri si dividono tra lecita call to action e rifiuto totale. La ricercatrice Chiara Palsgraaf, autrice di un saggio sull’arte partecipativa (qui l’articolo https://bit.ly/3IjzgpB), spiega che queste forme di coinvolgimento del pubblico ci son sempre state, per esempio con il Futurismo e con il Dada e che semplicemente ora i modi sono cambiati grazie alla tecnologia e cita il caso dell’installazione al Barbican Centre di Londra “Rain Room” come emblematico del successo derivato dalle condivisioni social nel 2013. Michelle Henning, docente di comunicazione all’Università di Liverpool, sostiene che grazie alle innovazioni e allo spostamento del focus da oggetto a soggetto nell’arte i musei stanno diventando sempre più simili ai media. Il critico Alex Fleming-Brown invece ribatte che l’aspetto commerciale insito in queste mostre esperienziali sia preponderante e dunque le definisce senza mezzi termini “l'ultimo pigro figlio dell'amore di TikTok e di intraprendenti imprenditori”, e in modo ancora più netto semplicemente “orribili”. Il critico sostiene inoltre che non è poi così immersiva questa arte e che i pastiche derivati dagli ammiccanti tagli fotografici delle opere originali in favore di selfie sono “meno piacevoli di alcuni interventi di odontoiatria”.

Insomma il dibattito è quanto mai acceso e forse la verità sta, come vuole il proverbio, nel mezzo, ovvero nella possibilità di entrare nel meccanismo artistico in modo più istintivo e fare tesoro delle informazioni, anche se molto lineari, fornite dall’esperienza stessa. Resta certamente la necessità di utilizzare queste nuove tendenze come elementi di una scacchiera volta alla tutela, al sostegno economico e alla valorizzazione e diffusione del patrimonio artistico.