Gli uomini e le donne che rischiarono la pelle per salvare l'arte dalle grinfie naziste: ecco le loro storie
La mostra “L’arte liberata” alle Scuderie del Quirinale, con un ottimo volume annesso, racconta in modo eccellente l'epopea dei funzionari durante la Seconda guerra mondiale. E torna in libreria l'avvincente vicenda dei "monument officers" Alleati nel nostro paese. Una doppia lettura tra pericoli, coraggio, audacia e, a volte, fortuna

In un giorno d’ottobre del 1943, quindi dopo l’armistizio proclamato dall’Italia e l’occupazione nazista in pieno corso, i soldati tedeschi arrivano a Carpegna, paese nel Montefeltro marchigiano. Nel palazzo dei principi Falconieri Pasquale Rotondi, audace e coraggioso soprintendente nella regione, ha ricoverato già dal 1940 fior di capolavori dell’arte e in quantità industriale per salvarli dai danni bellici dopo la farneticante entrata in guerra del Paese voluta dal fascista Mussolini. In casse di legno sono custoditi capolavori da Roma, Venezia, Milano, dalle Marche stesse, e si parla anche di artisti come Mantegna, Caravaggio, Tiziano ... .
In quel ricovero, oltre che nella Rocca di Sassocorvaro e nel palazzo ducale di Urbino, Rotondi ha messo in protezione una quantità immane di opere: circa 10mila. Intanto i tedeschi sguinzagliano nella penisola il “Kunstschutz”, il reparto di “protezione dell’arte”: senza eufemismi, è una forza incaricata di sequestrare e trafugare capolavori da portare in Germania a Hitler e/o a Göring.
Il comandante nazista esamina la cassa di legno ma ...
A Carpegna il comandante della missione vede le casse di legno e vuole esaminare il contenuto. Non sa cosa contengono perché a un certo momento Rotondi ha avuto un’intuizione geniale: se per prassi ogni cassa identifica artista e opera al suo interno, con i tedeschi alla porta lo storico dell’arte fa rapidamente togliere ai suoi collaboratori i cartellini rivelatori. Il comandante ordina di aprire una cassa: sorpresa, non contiene un Tiziano, un Bellini o dipinti di altri maestri, contiene spartiti di Rossini. L’ufficiale se ne disinteressa e lascia perdere. Possiamo solo immaginare cosa abbia provato quel soprintendente in quegli attimi di terrore e di sospensione.
Arte liberata alle Scuderie del Quirinale
L’episodio ci racconta molte cose e lo ricorda una mostra in qualche modo straordinaria allestita alle Scuderie del Quirinale a Roma: si intitola “Arte liberata. Capolavori salvati dalla guerra 1937/1947”, l’hanno curata con solidi fini etici e scelte accurate il direttore della Galleria nazionale delle Marche a Urbino Luigi Gallo e Raffaella Morselli.
Attraverso dipinti, alcune sculture, foto dei ricoveri e dei trasferimenti, documenti, registrazioni audio raggelanti del dittatore fascista e del suo sodale, la rassegna ricompone un’avventura collettiva che ha visto figure come Rotondi, Fernanda Wittgens da Milano in giù, Palma Bucarelli, Emilio Lavagnino e altri salvare quantità immani di opere dai bombardamenti prima, dall’avidità nazista poi. Come ricorda appassionatamente Caterina Paparello in uno dei suoi saggi nel volume che accompagna la mostra, Rotondi arriverà a custodire maestri come la mirabile Tempesta del Giorgione e Tintoretto sotto il letto o le pareti di casa con la moglie e storica dell’arte Zea che si dà malata per poter presiedere il riparo. Se un nazista, un fascista o un delatore avesse saputo, era la morte sicura.
Il Discobolo e Hitler
Il percorso esordisce col “Discobolo Lancellotti”, scultura romana del II secolo dopo Cristo, con alle sue spalle la foto gelida del dittatore nazista e un rosso cupo che rimanda volutamente al nazismo. Sala dopo sala, passando dalla “Madonna di Senigallia” di Piero della Francesca per concludersi con la “Danae” di Tiziano, il tragitto dispone dipinti e sculture accanto a simil-casse di legno di protezione. Con un pregio su tutti: dispiega artisti magari meno di richiamo eppure tutt’altro che minori quali Luca Signorelli, Federico Barocci, Antoniazzo Romano o Carlo Crivelli. Giusto per ricordarci che si salva una civiltà, non l’opera-feticcio.
Per dovere di cronaca: organizzano la mostra, aperta fino al 10 aprile 2023, le Scuderie con la Galleria Nazionale delle Marche, l’ICCD – Istituto Centrale per il catalogo e la Documentazione, l’Archivio Luce - Cinecittà. Oltre cento i pezzi esposti.
Fernanda Wittgens chiede della polenta e del latte
Dall’inizio della guerra, per non parlare del tempo successivo all’8 settembre 1943, questi storici dell’arte dal senso morale fortissimo sfidano pericoli, bombardamenti, rischiano la pelle, portano in auto (noleggiata) casse piene di capolavori, viaggiano di notte a fari spenti per non essere avvistati, affrontano disagi. Sentite questa: Fernanda Wittgens, funzionaria e storica dell’arte di grandissime capacità e di estrema rettitudine, nel luglio del 1942 gira come una trottola in Umbria (con i mezzi di allora) per ricoverare opere da Milano. Al soprintendente della regione scrive chiedendo se può trovare a lei e agli operai una casa di contadini dove dormire “alla soldatesca”, un po’ di latte e polenta per affrontare l’immane fatica giorno dopo giorno, come ricorda Giovanna Ginex in un suo saggio nel volume.
Infatti la mostra in sintesi visiva e il libro più diffusamente raccontano passaggi epocali dove funzionari quali Carlo Giulio Argan, Lavagnino si intendono con il cardinal Montini futuro Paolo VI affinché il Vaticano accolga una gran quantità di opere da mezza Italia garantendo così una protezione altrove impossibile. E qui va spesa una parola sul libro (pubblicato da Electa con le Scuderie, 442 pagine, 41 euro): è del formato consueto del mercato editoriale, non è affatto un catalogone - immagine, costituisce un’operazione culturale d’alto livello, fitto com’è di vicende avventurose, ricerche, documenti, riferiti con passione.

I monuments men in Italia raccontati da “Tutti gli uomini di Venere”
A proposito di libri: Elliot edizioni ha appena pubblicato “Tutti gli uomini di Venere. Quando gli alleati salvarono le opere d’arte italiane” di Ilaria Dagnini Brey (336 pagine, 20 euro). Trattasi di una versione aggiornata e arricchita rispetto alla prima edizione Mondadori del 2010 che aveva come titolo “Salvate Venere” e che la stessa giornalista aveva tradotto in italiano dopo la prima uscita in inglese nel 2009.
Il rischio e la disobbedienza
Il testo si conferma avvincente, dove il coraggio di un manipolo di uomini e donne si fonde con la capacità di rischiare e, quando necessario, di disobbedire agli ordini dall’alto. Sono i “monument officers”, storici dell’arte, archeologi, architetti, delle forze alleate, in pratica i “monuments men” di cui ha narrato George Clooney nel suo omonimo film ispirato a un libro di Edsel: si muovono sul terreno con guide alla mano, cercano di dissuadere i loro generali dal mettere a repentaglio obiettivi d’arte, inseguono le opere d’arte trafugate dai nazisti anche al di là della linea militare e a volte spariscono, uccisi chissà dove e come. Gli alti ufficiali li appellano come “Venus Fixers”, “aggiustaveneri”, e non è un complimento.
Ugo Procacci non lascia Piero della Francesca sotto le bombe
Quegli ufficiali agiscono dalla Sicilia all’Alto Adige, fino alla Liberazione nel 1945, insieme ad altri incontriamo in queste pagine Fred Hartt, Mason Hammond, Roger Ellis, Thomas Howe, dopo il conflitto non sbandierano le loro azioni, e Ilaria Dagnini Brey vi intreccia vicende parallele dei funzionari storici dell’arte italiani. Come quando Ugo Procacci che, nel gennaio del 1944, trasporta il “Polittico della Misericordia” di Piero della Francesca da Borgo Sansepolcro a Firenze, viene sorpreso un’incursione aerea, salta dal camion per salvarsi e poi torna indietro per non lasciare incustodito il dipinto: “«Pazienza, morirò», si disse mentre tutt’intorno cadevano le bombe”, scrive l’autrice. Queste parole riassumono bene lo spirito etico di quei protagonisti i quali non difettano certo di coraggio.