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Teresa Macrì: «Scopriamo Fede Galizia, ma dico no ai ghetti per le artiste, è apartheid»

A Trento si tiene la prima mostra sull’artista vissuta tra ‘500 e ‘600. La studiosa e scrittrice apprezza ma in questa intervista afferma che dividere per categorie donne, uomini o gay vuol dire replicare schemi maschilisti

Stefano Milianidi Stefano Miliani   

Ottima iniziativa organizzare una mostra sulla pittrice cinquecento-secentesca Fede Galizia, tuttavia allestire rassegne su donne, o su gay o su una categoria rischia di mantenere ghetti, di replicare operazioni a misura del mercato dell’arte che richiede sempre nuovi stimoli e temi. La riflessione è di Teresa Macrì, critica d’arte, scrittrice, curatrice indipendente, tra le personalità più attente e sensibili a una cultura visuale al di là dei consueti schemi. Nata a Catanzaro nel 1960, oltre a moltissimi saggi (tra gli ultimi Slittamenti della performance, Vol. I, Postmedia Books, 2020), la critica insegna Fenomenologia delle arti contemporanee all’Accademia di Belle Arti di Roma e collabora al quotidiano Il Manifesto.

L’occasione per il colloquio è “Fede Galizia. Mirabile pittoressa”, rassegna a cura di due studiosi valenti come Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, aperta al bellissimo Castello del Buonconsiglio di Trento fino al 24 ottobre (clicca qui per il sito). Presente anche alla mostra milanese “Le signore dell’arte. Storie di donne tra ‘500 e ‘600” in corso fino al 25 luglio a Palazzo Reale di cui ha scritto su Tiscali Cultura Francesca Mulas (clicca qui per il suo articolo), Fede Galizia viene qua accostata a colleghe tra XVI e XVII come Sofonisba Anguissola e Artemisia Gentileschi, come loro ebbe riconoscimenti in vita eppure soltanto a cinque secoli dalla morte beneficia di una rassegna monografica. “Documentata a Milano a partire almeno dal 1587, vive prevalentemente nella città lombarda fino alla morte, avvenuta dopo il 1630”, ricorda la nota stampa: con nature morte, ritratti, pale d’altare, miniature l’appuntamento propone in tutto un’ottantina di opere anche di autrici e autori quali Sofonisba Anguissola, Lavinia Fontana, Barbara Longhi, l’Arcimboldi. Con la loro ricognizione sulla “mirabile pittoressa” Agosti e Stoppa vogliono restituire un quadro integrale della pittrice completandolo con ricerche e un regesto documentario su di lei.

Macrì, adesso a Trento vediamo Fede Galizia. Al di là della mostra, come valuta il fatto che la pittrice, pur rilevante al suo tempo, solo adesso riceva questa attenzione? Tranne Artemisia Gentileschi perché ne scrisse Anna Banti e per le sue vicende biografiche, le pittrici hanno subito a lungo un oscuramento. 

Quanto è successo in passato e il cambiamento, che non è poi un vero cambiamento, che avviene ai giorni nostri non mi meraviglia affatto. In passato l’oscuramento di cui lei dice c’è sempre stato. Le artiste esistevano già, Fede Galizia realizzava molti lavori e quindi aveva committenti, era conosciuta e apprezzata. Non per metterlo banalmente all’interno di un discorso femminista ma si tratta semplicemente di una cultura maschilista che ha sempre privilegiato il maschio in tutte le sue manifestazioni. Dunque non mi meraviglia che questa delicata pittrice sia quasi sconosciuta, almeno a livello nazionale.

Che venga finalmente raccontata dopo tanti secoli è un fatto positivo …

Che venga scoperta da uno storico dell’arte come Agosti, che so serio e intenso, mi porta a dire che finalmente si riesce a vedere una mostra a lei dedicata: sarei molto curiosa di vederla. Non mi stupisce non ce ne siano state, nonostante le varie aperture alle donne in generale in qualsiasi ambito, anche in quello calcistico che è un retroterra molto maschilista e che conosco bene. Però temo i rischi

Quali rischi vede?

Vedo in questo momento tantissime mostre dedicate alle donne e solo alle donne. Penso che non ci sia un salto culturale, non ci sia vera emancipazione finché si dedicano e si aprono queste gabbie, questo apartheid, finché rinchiudi le donne tra di loro, gli uomini tra di loro, i gay tra di loro … Lo vedo un po’ un pericolo.

Intende dire che il modello culturale è lo stesso?

Sì. In passato non c‘era volontà di far uscire dai margini le poche artiste, parliamo del ‘500, ed erano poche rispetto agli artisti non perché non avevano talento ma perché condannate a una vita da donne per cui per loro era impossibile studiare e dipingere. Quanto avviene adesso è pericoloso: la società dovrebbe essere più emancipata. Invece percorriamo lo stesso schema di chiusura, di confini, gender, razza, di barricate. E temo adesso nel 2021, sia business fare mostre di donne, chiamare giurie solo con donne, estrarle dal confinamento, rinchiuderle sempre da sole. Penso la società avrà vinto quando non avremo più un problema di donne o uomini, quando non mi chiamerà più nessuno perché donna su una mostra di una artista, quando non farà notizia che si tenga una mostra al Castello del Buonconsiglio su una pittrice del ‘5-600. Ripeto, farla conoscere è un’ottima idea, Fede Galizia è stata appunto “oscurata”, ma siamo sempre in quell’ambito pur con modalità diverse: la donna segue gli schemi degli uomini, vediamo confinamenti nella categoria del gender. Il discorso è sempre quello: molto bloccato per problemi culturali. Le aperture rispecchiano le stesse modalità: fare mostre unicamente femminili non aiuta culturalmente la società come non aiuta farne di soli uomini, finché restiamo chiusi negli schemi perpetriamo gli errori del passato.

Lei si definisce femminista?

No. Rischiando di passare per anti-femminista, per me il movimento è nato e aveva logicità negli anni ‘60 del secolo scorso. Ho fatto le battaglie mie e collettive, ma in realtà non ho mai voluto stare in una categoria femminista, cerco di emanciparmi da questo sistema molto maschilista. Anche il sistema dell’arte è fortemente maschilista nella sua struttura nonostante non appaia così. Ci dobbiamo liberare di questo schema per cui, anche a costo di apparire non femminista, ritengo che nel 2021 sia una definizione obsoleta. E le chiusure nelle gabbie non aiutano. Per rinfrescare il mercato il sistema dell’arte ora usa le donne, poi usa i gay, poi il cambiamento climatico, dura qualche anno poi si passa a un altro business. Ma per le donne non è un andare avanti.

 

 

Stefano Milianidi Stefano Miliani   
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