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Nei dipinti del Rinascimento ci sono africani e non li abbiamo visti. Scego: "Persone schiavizzate e aristocratici"

Un documentario di Sky Arte documenta la presenza di neri in dipinti in artisti come Mantegna e Carpaccio. Gli esperti bianchi non li avevano studiati. Ma il Pontormo ritrasse perfino un duca dei Medici che era meticcio. Ne parlano la scrittrice e Thompson, artista e direttore del Black History Month

Stefano Milianidi Stefano Miliani   

Alessandro de’ Medici, duca di Urbino e Firenze, nato nel 1510 o nel 1511 e ucciso nel 1537, esponente di una delle più potenti famiglie d’Europa dell’epoca detto “il Moro”, era figlio di una serva nera o perlomeno mulatta, chiamata Simonetta da Collevecchio. Il volto in un ritratto del Pontormo e in uno del Bronzino o bottega parrebbero confermare il suo sangue misto. Lo era?

Riprende e rilancia l’ipotesi del duca mezzo africano “Il Rinascimento nascosto. Presenze africane nell’arte”, documentario dal sottotitolo eloquente: “Il ruolo delle persone africane e afro-discendenti nella società del ‘500”. Va in onda domenica 27 novembre alle 21.15 su Sky Arte, in streaming su Now ed è disponibile on demand. Gli autori sono Francesca Priori, che ha ideato e scritto il documentario, e Cristian Di Mattia che lo ha diretto. In una sala spoglia che appare volutamente slabbrata, hanno intervistato studiosi e intellettuali di estrazione varia che riflettono su un fenomeno spesso sfuggito ai più. Peraltro parlarne in un documentario che fa tappa in capitali dell’arte quali Roma, Firenze e Venezia significa discutere tanto di storia e di arte come di un’Italia dove il razzismo serpeggia in molti luoghi, incontri, inquina i social e gli stadi di calcio, quando esplode nella violenza o perfino nell’omicidio.

“La maggior parte degli storici dell’arte è bianca” 

“Nessuno ha parlato della evidente presenza di persone africane nei dipinti del Rinascimento”, afferma alle telecamere John Brackett, storico dell’arte afroamericano, professore emerito associato dell’università di Cincinnati. “La maggior parte degli storici dell’arte è bianca – prosegue - i neri sono pochissimi e ognuno segue i pregiudizi della società da cui proviene”. E ciò accade anche intorno a opere notissime.

Igiaba Scego: “Guardate chi c'è nel Botticelli nella Cappella Sistina”

Se Kate Lowe, professoressa di storia e cultura del Rinascimento alla Queen Mary, University of London intervistata nel documentario, può dirsi tra le prime ad occuparsi degli afrodiscendenti nel Rinascimento, a Tiscali Cultura la scrittrice Igiaba Scego fa notare che “in un affresco del Botticelli dedicato all’infanzia di Mosè nella Cappella Sistina tra i tantissimi personaggi spiccano due pellegrini etiopi, ambasciatori riccamente vestiti dall’aria molto seria e posata. Nel 1481 quattro ambasciatori vennero invitati a Roma perché in Africa c’era un regno cristiano e i paesi cristiani si contendevano l’egemonia con gli arabi o i regni arabi”. Anche lei intervistata da Sky Arte ricorda un altro luogo significativo: la basilica di Santa Maria Maggiore a Roma conserva la tomba e un busto di Emanuel Ne Vunda: ambasciatore del Regno del Kongo (l’attuale Angola), nel 1608 morì sfinito tra le braccia di Paolo V che commissionò la tomba e il busto in suo onore. 

Igiaba Scego nel documentario di Sky Arte per “Il Rinascimento nascosto presenze africane nell’arte”

 

“Ci sono tante storie: di persone schiavizzate (non dico schiavi perché nessuno nasce schiavo) e di aristocratici, di mercanti e di figli di papi come Alessandro de’ Medici. Dal documentario si evince come a Venezia ci fossero afrodiscendenti”, continua la narratrice italiana con genitori somali. In effetti è così. Basta osservare i gondolieri neri nei quadri del Carpaccio documentati da questo “Rinascimento nascosto”. “Da 20-30 anni il fenomeno è più studiato perché legato al discorso antirazzista e, negli ultimi anni, anche al movimento di Black Lives Matter”, osserva al telefono Igiaba Scego. D'altronde l’autrice ha approfondito già l’argomento nel suo romanzo del 2020 La linea del colore (Bompiani, 384 pagine, 19 euro): in quelle pagine, dice, “parlo di un’artista afroamericana a Roma e, attraverso di lei, anche della presenza di neri nell’arte italiana”. 

Clicca qui per la scheda dell’editore Bompiani sulla “Linea del colore” di Igiaba Scego

La scrittrice: “Lo Ius Soli? La politica non riconosce cosa è l'Italia oggi”

Quelle presenze “ci raccontano un’Italia che era multiculturale. Vorrei sentire le loro voci, parlerebbero come parlo io, romano, o napoletano, o veneto …”, afferma Igiaba Scego. E oggi? Molte persone sono cresciute o perfino nate qui eppure non sono ancora riconosciute come cittadini italiani.
“Per i singoli di qualunque fede politica è una cosa ovvia, se ci parli non hanno problemi – commenta la scrittrice - Il problema è la politica, di qualunque schieramento. È triste per un Paese, significa non riconoscere quello che sei diventato. Quando tanti di noi iniziammo a manifestare nel 2005, nessuno sapeva riconoscerci, allora non era un rifiuto, nelle prime interviste ci chiedevano delle banlieue francesi e rispondevamo ‘siamo italiane’. Adesso le persone sanno”. Ciononostante il Parlamento non ha ancora, colpevolmente, varato lo ius soli, una legge che riconosca la cittadinanza a chi nasce sul suolo italiano anche se da genitori nati altrove. “Neanche la sinistra l’ha fatta, ed è stato un errore imperdonabile, non solo la destra. Ma non vorrei essere strumentalizzata su una parte politica – puntualizza la scrittrice -  è un problema profondo e generazionale di chi è legato a una visione di un’Italia più antica. La cittadinanza a figli di migranti sarebbe una legge di civiltà, non di una parte”.

Thompson: “Dal '600-'700 si giustifica la tratta degli schiavi” 

Nel ‘600 e ‘700 si assiste “a una progressiva razzializzazione per giustificare l’ingiustificabile, la tratta degli schiavi”, rileva nel documentario Justin Ronald Thompson, artista, direttore e co-fondatore di un centro culturale molto vivace quale è Black History Month Florence e del centro di ricerca su persone, storie e culture africane e afrodiscendenti in Italia The Recovery Plan. Sui neri in dipinti e affreschi del Rinascimento documentati dal filmato il direttore osserva come il Mantegna sul finire del ‘400 inserisca in una posizione molto rilevante nella sua “Adorazione dei Magi” al Getty Museum a Malibu, in California, “un re nero, segno di una maggiore presenza africana nel territorio”. E il pittore cresciuto come artista a Padova era recidivo: una serva nera con un copricapo a strisce guarda a una dama affacciata nel celeberrimo oculo affrescato tra anni '60 e '70 nella Camera degli sposi nel Palazzo Ducale di Mantova.
La storiografia non ha dato rilievo a queste figure? A Tiscali Cultura Thompson risponde così: “Lavoro da tempo con ricercatrici e ricercatori di storia del Rinascimento e molti di loro riferiscono che non le vedevano. Eppure gli storici dell’arte analizzano ogni dettaglio: evidentemente quelle figure erano fuori dalla narrazione. Io sono venuto dagli Stati Uniti in Italia nel 1999 e le ho trovate subito perché le cercavo”.

Clicca qui per il Black History Month Florence

I neri non erano sempre dei subalterni 

Se nel nostro paese iniziamo a prendere coscienza delle raffigurazioni ignorate e di una cultura colonialista di cui parla una recentissima raccolta di saggi curata da Chiara Savettieri, “La rappresentazione dei neri nell’età moderna” (Carocci editore, 220 pagine, 24 euro), va da sé che un re in un quadro nel Mantegna non significa parità perché i neri nei dipinti spesso avevano il ruolo del servo e come tali comparivano in pitture delle ville rinascimentali italiane. “Era una moda e una questione di potere avere schiavi ricollegabili a terre lontane”, ricorda Thompson nell’intervista televisiva.

Clicca qui per la scheda dell’editore Carocci su “Le rappresentazioni dei neri nell'età moderna”

Tuttavia quei neri non erano sempre subalterni. Il veneziano Carpaccio dipinge gondolieri neri nella “Caccia in laguna” come nell’affollatissimo “Miracolo della guarigione dell’ossesso”: “In quella vita brulicante ci sono ebrei, armeni, tutti, l’artista ci fa vedere una città plurale”, constata l’artista-direttore nel documentario. Thompson trova particolarmente interessante “riconoscere le origini africane di Alessandro de’ Medici attraverso l’arte”. Tenendo a mente una differenza sociale: sua madre, Simonetta da Collevecchio, ebbe una vita molto più dura del figlio e duca perché era “schiava e nera”.

Il direttore del Black History Month: “Un razzismo banalizzato”

Ricordando che con le Gallerie degli Uffizi il Black History Month ha organizzato una mostra dell’artista congolese Sammy Baloji nel fiorentino Palazzo Pitti, aperta fino a domenica 27, per chiudere il cerchio bisogna chiedere a Thompson come valuta lo scenario italiano odierno sul razzismo. “C’è un problema, la società da tantissimi anni vive un razzismo banalizzato, non preso in considerazione, portato avanti da meccanismi dello Stato e dei media”. Non tutte le testate si comportano nello stesso modo, sarà utile precisare, tuttavia il rilievo è fondato e pertinente, purtroppo. Abbiamo parecchia strada ancora da fare, come usa dire.

Clicca qui per la mostra fiorentina “La storia del Regno del K(C)ongo a Palazzo Pitti attraverso le installazioni di Sammy Baloji”

 

 

Stefano Milianidi Stefano Miliani   
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