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A Roma tutti i colori e i drammi di Van Gogh: dall'autoritratto del 1887 al "Seminatore"

Palazzo Bonaparte espone quaranta opere tra dipinti e disegni dal museo Kröller-Müller: raccontano il percorso dell'artista dai toni bruni alla felicità cromatica. Se il pittore è una star planetaria molto è dovuto a due donne: la cognata Johanna Bonger, la collezionista Helene Kröller-Müller

Stefano Milianidi Stefano Miliani   

Vincent van Gogh, l’artista che ha conquistato l’agognato riconoscimento post mortem dopo un’esistenza tragica e all’industria culturale e dello spettacolo ciò fa sempre gioco, dall’8 ottobre al 26 marzo beneficia di una mostra con una quarantina di opere a Palazzo Bonaparte a Roma, a piazza Venezia sul lato opposto al Vittoriano. Sulla qualità dei pezzi, 27 dipinti e 13 tra disegni, acquerelli e pastelli (se abbiamo contato bene, ovvero salvo errori) non v’è molto da discutere: appartengono allo splendido Museo Kröller-Müller, istituto olandese presso Otterlo nel Parco nazionale De Hoge Veluwe che ha una collezione strepitosa sul ‘900, anche di disegni nonché di sculture all’aperto come una grande installazione di Dubuffet su cui si può camminare, ed è una garanzia.

L’allestimento ha sale in penombra o buie per dare risalto ai colori in un palazzo che è un monumento. La mostra attraversa grosso modo gran parte della carriera e della vita, dacché con Vincent arte e vita combaciano al millimetro. La rassegna sfodera pezzi estremamente noti e altri meno diffusi: l’autoritratto del 1887 con il viso di tre quarti è esposto in solitaria e in chiusura per accentuarne l’effetto-divo, tra gli altri dipinti risaltano un esaltante burrone dalle pennellate ondeggianti con due figurine di donne in mezzo, il Seminatore, due lavori con lo stesso soggeto a dimostrare come il pittore abbia mutato forme ma non sentimento tra il vecchio seduto e disperato nella fase iniziale e quello finale a due passi dalla morte. 

Helene Kröller-Müller, la collezionista che si rispecchiò nel suo dolore

La selezione vangoghiana ha una sorta di antipasto: la prima sala raccoglie un piccolo drappello di dipinti da Cranach a un Picasso del 1901 o l’amico Gauguin che, al di là del livello, invero sembrano selezionati soprattutto per arrivare a una cinquantina di opere esposte. Risulta invece del tutto coerente il ritratto della donna che iniziò a collezionare sue opere dal 1908, Helene Kröller-Müller, donna che – come raccontano le curatrici ai visitatori all’apertura – vedendo i lavori di Van Gogh comprese il proprio intimo dolore, vi si rispecchiò e averli quando nessuno li cercava su un grande lenitivo. Il ritrovamento nel 2005 di lettere e diari, ricorda una nota stampa, la resero “la più grande collezionista di Van Gogh” e oggi solo il museo intitolato al pittore ad Amsterdam ha più opere del Kröller-Müller dell’artista olandese.

Clicca qui per il sito del Kröller-Müller Museum

La cognata Johanna Bonger, che comprese il valore di Vincent

A proposito di donne. Di un’evidenza dà giustamente conto l’appuntamento romano in un pannello esplicativo: se il fratello Theo gli fu vicino sempre e fino all’ultimo istante, anche quando non condivideva scelte come il legame, poi franato, con l’ex prostituta con figlio Sein, la cognata Johanna Bonger comprese appieno il valore di Vincent: fu lei a “lanciarlo” e promuoverlo con intelligenza e spirito imprenditoriale nel mondo della cultura. Il rammarico, piuttosto, è che poté muoversi dopo la morte di Vincent e quella a breve distanza del marito Theo, quando ebbe sott’occhio l’opera lasciata dal cognato.

Clicca qui per il sito di Palazzo Bonaparte

Clicca qui per il sito di Arthemisia sulla mostra di Van Gogh

Con una dozzina di sale distribuite in due piani e poche opere per stanza, la rassegna è accompagnata da più schede con testi e foto e riproduzioni digitali delle sue tante lettere (scriveva tanto): rendono conto delle fasi pittoriche, delle speranze e delle amarezze, dell’intreccio tra psicologia tormentata e volontà indefessa di fare arte, del dolore della vita e della gioia del colore. Lo ricorda una nota, anche questa in pannello, dove l’artista definisce il lavoro del pittore “sporco”, non in senso morale ma nel senso che chi dipinge si inzacchera, si sporca parecchio. A Vincent non disturbava.

Dai toni bruni all'esuberanza cromatica

Dalla mostra si intende come da un periodo iniziale sui toni bruni di un lungo autunno del nord Van Gogh virerà sempre più su una gamma cromatica luminosa. Virerà soprattutto dopo aver guardato ai colleghi impressionisti e post impressionisti a Parigi fino all’esplosione di colori nel sud della Francia, ad Arles e dintorni. Della stagione parigina può incuriosire quell’interno di ristorante dalla pittura puntinista che dimostra un chiaro avvicinamento, momentaneo, a un pittore come Seurat e a uno sguardo, come dire?, più analitico sulla realtà. Poi Vincent imboccherà la strada dei colori che ondeggiano e che lo fanno tanto amare.

Vincent van Gogh, Il burrone (Les Peiroulets), Saint–Rémy, dicembre 1889. © Kröller-Müller Museum, Otterlo, The Netherlands

Quei colori che risaltano anche nei giorni precedenti alla fine nel 1890 ad Avers-sur-Oise, a 37 anni, per suicidio, pur se negli ultimi anni ricerche e un film hanno sollevato qualche dubbio al riguardo. Questa gioia delle pennellate insieme alla drammaticità di un’esistenza minata da delusioni, fatica, difficoltà psicologiche è uno degli ingredienti che tanto piacciono a noi posteri e potranno mandare in sollucchero più di un visitatore. Da un lato è un artista acclamato e quindi guardare i suoi quadri rassicura. Dall’altro chissà se tanto amore è dettato da un sentimento analogo a quello di Helene Kröller-Müller: ci si rispecchia nella tragicità della sua esistenza e la vitalità della sua arte suona come un riscatto che ci consola, ci conforta.  

Lui era consapevole, si arrovellava su dilemmi spirituali e materiali. Leggete cosa scriveva Vincent in una delle sue tantissime lettere a Theo, pubblicata senza data a pagina 173 del libro curato da Fabrizio D’Amico “Cézanne, Monet, Renoir, Van Gogh. Lettere dalla luce” pubblicato da Linea d’Ombra libri nel 2003: “È certo uno strano fenomeno che artisti, poeti, musicisti, pittori, siano tutti materialmente miserabili – anche i fortunati […]. Ciò rinnova l’eterna domanda: la vita per noi è interamente visibile, oppure prima della morte non ne conosciamo che un emisfero? […]. È tutto qui o c’è dell’altro? Nella vita del pittore forse la morte non è la cosa più difficile”.

Dal biglietto al 18 euro al sottofondo musicale

Una informazione pratica: il biglietto intero ha un costo alquanto salato, 18 euro pieni, e che comprenda l'audioguida cambia poco. Varrà concludere chiedendosi quanto aggiunge alla conoscenza dell’arte un’antologica sul maestro olandese? Diciamolo con chiarezza: il primo motivo di una monografica su Vincent è richiamare tanto pubblico, è il successo commerciale.
Fa invece riflettere la scelta di accompagnare i visitatori con le note, pur discrete, di un pianoforte nelle sale, e ancor più la sala con specchi e meccanismi e musica che ricorda un parco-giochi come se ci immergesse nei colori dell’artista e non aggiunge nulla. È spettacolo, si dirà? Mah ... È chiaro lo sforzo degli organizzatori di rendere la selezione di dipinti e disegni un appuntamento più accattivante, non paludato, e i pannelli sulle lettere sono pertinenti. Tuttavia insorge un dubbio: una simile scelta non tradisce una inconscia, inconsapevole e diffusa sfiducia nelle capacità dell’arte stessa di incantare per cui serve l’accompagnamento sonoro altrimenti lo sguardo e il confronto senza orpelli non basta? Forse riteniamo le capacità di concentrazione sempre più ridotte per cui serve sempre un sottofondo musicale? A un artista come Vincent, così sensibile verso la dimensione spirituale, pur se il silenzio qui è interrotto di tanto in tanto dalle sirene dall’esterno del palazzo, il silenzio sarebbe piaciuto.

La mostra è prodotta da Arthemisia, realizzata con il Kröller-Müller Museum di Otterlo, è curata da Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti. Catalogo Skira editore.

 

Stefano Milianidi Stefano Miliani   
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