Pavlo Makov, l'artista ucraino alla Biennale di Venezia: "La mia fuga rocambolesca in macchina sotto le bombe"
L’artista del Padiglione ucraino descrive il suo lavoro in corso d’opera e chiarisce: “Vogliamo tornare prima possibile, non vivere in esilio. La guerra all’Ucraina è un attacco ai valori occidentali”


“Vogliamo tornare prima possibile in Ucraina, non vivere in esilio. Cosa significherà avere magari successo alla Biennale d’arte di Venezia quando il tuo paese è devastato?” Con poche e nitide parole Pavlo Makov inquadra lo stato d’animo suo e, in questo caso con la variante della mostra in laguna, quello di milioni di suoi concittadini. E commenta: “La guerra all’Ucraina è un attacco ai valori occidentali”.
L’artista di 63 anni rappresenta il paese invaso da Putin nel padiglione ucraino alla 59esima manifestazione d’arte internazionale in laguna. Doveva essere una festa. Bombardamenti, missili e massacri di donne, bambini e uomini hanno cambiato lo scenario in un atto tanto culturale quanto più politico che mai. Makov viene dalla città distrutta di Kharkiv e, in una fuga complicata, schivando letteralmente le bombe, è riuscito a raggiungere Venezia. Qui installa la sua opera “Fountain of Exhaustion”, ovvero “Fontana dell’esaurimento”, un titolo evocativo cui aggiunge “Acqua alta” con un esplicito alla città lagunare. Come curatrici/curatori ha Lizaveta German e, a Venezia Maria Lanko, cofondatrici della galleria-centro culturale The Naked Room, più Borys Filonenko. Il committente è il Ministero della cultura e della politica dell’Informazione.
Il Padiglione ucraino è collocato all’Arsenale. Per realizzarlo è stata determinante la scelta netta e tempestiva della Biennale presieduta da Roberto Ciccuto: non appena Mosca ha scatenato la sua invasione l’ente ha proclamato il suo pieno appoggio al gruppo ucraino affinché potesse concretizzare l’opera progettata da tempo e la piena condanna del regime moscovita.
La mostra di quest’anno conta oltre 80 padiglioni nazionali tranne quello russo che rimane vuoto: gli artisti Alexandra Sukhareva e Kirill Savchenkov e il curatore lituano Raimundas Malasauskas si sono ritirati come protesta contro la guerra.
La rassegna si svolge dal 23 aprile al 27 novembre tra i Giardini e l’Arsenale come sedi principali; la mostra a tema del 2022 è diretta da Cecilia Alemani che l’ha chiamata “Il latte dei sogni”; il padiglione italiano è in fondo all’Arsenale e vede per la prima volta esporre un solo artista, Gian Maria Tosatti, scelto da Eugenio Viola; gli altri padiglioni sono ai Giardini, all’Arsenale più un buon numero sparso per la città. La parola passa a Makov che parla in un buon italiano e lavora tra l’altro con la galleria Cartavetra.
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Makov, può descriverci l’opera che propone a Venezia?
Prima di tutto facciamo il padiglione, per fortuna. Il progetto era praticamente finito è abbastanza grande, pesa molto, non potevamo certo spedirlo con la guerra. Abbiamo preso cura del nostro progetto già dall’Ucraina e Maria Lanko ha salvato la mostra: lo ha caricato in auto, ha attraversato paesi e confini, è arrivata fin qua. L’opera ha 78 imbuti di bronzo. In Italia abbiamo trovato una ditta che ha completato il lavoro, la Tecnolegno di Milano: sono stati molto gentili e simpatici, ci hanno dato la massima disponibilità. All’Arsenale abbiamo cominciato a installarlo, ci stiamo lavorando. Come dite, voi italiani? Siamo molto indaffarati.
“La fontana dell’esaurimento” ha la forma di una piramide dalla quale discende acqua ma a terra ne arriva poca. È così?
La parte più importante del progetto ha la forma di una piramide. Dovevamo fare questa costruzione di metallo con serbatoi per l’acqua ma, poiché l’Arsenale è uno spazio storico, non possiamo neanche mettere un chiodo sulle pareti. La soluzione migliore per me sarebbe mettere tutti gli imbuti sul muro, un classico muro di mattoni veneziano, con l’acqua che cade dall’alto ma dobbiamo trovare un modo perché l’acqua non sporchi, dobbiamo fare un grande serbatoio di metallo. Questo oggetto dovrebbe essere assolutamente indipendente con un ciclo di acqua chiuso.

Voi esponete dentro l’Arsenale, giusto?
Sì. Abbiamo una stanza. Un padiglione indica una cosa un po’ più grande, ma la soluzione è buona, abbiamo capito come usarla.
Sulla “Lettura” del Corriere della Sera lei e Maria Lanko avete sostenuto che l’attacco russo all’Ucraina è un attacco ai valori occidentali, all’Europa. Pensate al patriarca di Mosca e di tutte le Russie Kirill che, in un sermone del 6 marzo, ha legittimato la guerra contestando i valori occidentali esemplificati, a suo dire, dalle “parate gay” intese come “peccato”?
Kirill non mi interessa. Questo è un attacco ai principi fondamentali della nostra mentalità dell’Ovest, dell’Europa, del Nord America, dell’Australia, del Giappone. La Russia ha detto in modo assolutamente aperto che fanno la guerra contro l’Ucraina per insegnare all’Occidente come deve comportarsi. Non è una guerra etnica, è contro i nostri ideali.
In Italia troppe figure politiche non hanno flirtato con Putin per anni?
Sono venuto più volte in Italia, la amo, ma qui ho capito che circolano moltissimi soldi venuti dalla Russia, e non sempre chiari. Se parliamo dei politici sappiamo che una persona come Berlusconi è stato amico di Putin. Possiamo rifletterci. Voglio descrivere questa situazione in modo più ampio. Non è possibile sedersi su due sedie (corrisponde al tenere i piedi su due staffe, ndr) e avere energia per la vita. Cos’è il gas? È energia per la vita per tutte le nazioni ma non è possibile avere questo supporto quotidiano da una società dai principi totalitari. Se voi prendete aiuto o supporto da mani sporche prima o poi si sporcano anche le vostre mani. Non è possibile immaginare questa dipendenza dall’energia. Capisco bene che saranno tempi più difficili ma dobbiamo sostenere il prezzo della dignità e delle vite umane, il principio è più importante della nostra vita quotidiana. Dobbiamo soffrire tutti. Almeno spero che qua non vivrete questa guerra.
Lei viene da Kharkiv, da dove era scappato. Qual è la situazione delle persone a lei care, della sua casa?
Abbiamo dovuto fuggire dopo l’attacco perché la Russia ha cominciato a distruggere e a devastare il centro, anche i quartieri civili. Mia mamma ha 92 anni e un caratterino. Diceva di non voler venire via, che aveva già vissuto la Seconda guerra mondiale e quindi andava bene così. Dopo sette giorni i russi avevano distrutto veramente il centro intero, tutti gli uffici. Allora ho deciso di prendere mia moglie, mia mamma, due amiche e con la mia macchina abbiamo lasciato la città: era troppo pericolosa. Quando ho portato via mia mamma eravamo sotto l’attacco dei missili russi. Non pensavo nemmeno a Venezia.
Voi volete tornare in Ucraina o pensate a un esilio?
Non vogliamo vivere in esilio, vogliamo tornare prima possibile. Ne parliamo tra noi ogni giorno. Siamo molto tristi. Il nostro programma era venire qui, vivere questa primavera così interessante e divertente, invece ci ritroviamo con la guerra. Un eventuale successo alla Biennale non ripaga la situazione: cosa significa se il tuo Paese è devastato? Anche adesso se riceviamo del denaro ne mando sempre due terzi in Ucraina o ad amici volontari: facciamo tutti così.
Che risposta ha trovato qui in Italia?
Tanti ci stanno supportando molto, forse supportare non è il verbo giusto e mi scuso. Siamo molto commossi da come voi italiani reagite a questa storia. Dico volontariamente “commosso”, per noi è una parola molto calda.
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