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Tosatti dai migranti di Calais ai bambini di Forcella: "La mia arte è politica come lo era la tragedia greca"

Da un simposio a Tortolì, in Sardegna, l'artista del Padiglione Italia alla Biennale 2022 descrive le sue opere che sono interventi nel sociale: da "The Jungle" al quartiere napoletano dove la camorra agisce con forza all'ex fabbrica occupata a Roma. Videointervista e fotogallery

Stefano Milianidi Stefano Miliani   
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Gian Maria Tosatti è un artista che, con un termine invero abusato, si può definire versatile. Di sicuro non si è ancorato al costruire oggetti. Nato a Roma nel 1980, firma lui il commovente Padiglione Italia alla Biennale di Venezia in corso fino al 27 novembre dove ha ricostruito un paese industriale dismesso sotto il titolo evocativo “Storia della notte e destino delle comete”. Potremmo chiamarlo scultore di luoghi e situazioni sociali complicate e vitali? Oltre che saggista e scrittore, dal marzo scorso e fino al 2024 è direttore artistico della Quadriennale di Roma e i suoi lavori sono spesso azioni in un luogo insieme alle persone che lì vivono. Come quando è andato a “The Jungle”, a Calais nel nord della Francia, dove vivevano in una sorta di accampamento-città migranti intenzionati a raggiungere la Gran Bretagna dove trovare una vita dignitosa con un lavoro. 

 

 

“Creo immagini per stimolare la voglia di agire e di cambiare”

A fine settembre, il lunedì dopo il voto che ha consegnato il Paese alla destra, Tosatti era a Tortolì in Sardegna, nel simposio di Contemporanea “Sculptures and Places”. Nella video intervista di Tiscali Cultura alla domanda se considera i suoi interventi anche un atto politico risponde: “Lo sono come la tragedia greca era il momento in cui una comunità si raccoglieva intorno a un’immagine che definiva un problema: serviva a osservarlo bene per trovarlo insopportabile al pubblico da volerlo cambiare. Il mio lavoro è creare un’immagine che stimoli la voglia di agire, di trasformare se stessi”. Gli effetti ci sono, a giudicare da quanto ha raccontato al simposio organizzato dalla Fondazione di Sardegna e AR/S - Arte Condivisa in Sardegna, curato dalle professoresse dell’università di Sassari Giuliana Altea e Antonella Camarda. Sul palcoscenico del Teatro San Francesco lo ha intervistato la critica Lucrezia Longobardi, la quale per chiarezza ha tenuto a precisare in pubblico che i due hanno una relazione da nove anni. Il che non ha cambiato il tono della conversazione: era tra una critica e curatrice d’arte e un artista.   

Clicca qui per Isgrò a Tortolì, il maestro gentile delle cancellature: "La cancel culture distrugge, io no"

“Il campo migranti a Calais era un’ambasciata di fratellanza”

Sollecitato dalla intervistatrice, sull’esperienza nel 2015-16 nel campo spontaneo di profughi The Jungle presso Calais, poi distrutto e sgombrato dalla polizia francese, l’artista ricorda: “Era all’imbocco dell’autostrada, con ottomila persone era una città medioevale senza un piano urbanistico costruita su una rete di vicinanza e di amicizia, su un tessuto connettivo umano. È stata la visione più entusiasmante della mia vita, dell’Europa che dovrebbe essere”. Metà del campo, rammenta, era abitata da profughi, l’altra metà da ong o persone come architetti arrivate in modo autonomo per dare una mano.
“Era come una grande ambasciata del nuovo mondo, al centro triangolo coloniale tra Londra, Parigi e Bruxelles, che vuole rompere il rapporto tra  servo e padrone e costruire una fratellanza. Le persone ti dicevamo ‘welcome’ e condividevano la pasta bollita: per me era un’utopia, credo nell’utopia, sono socialista. Che posso fare qui? mi sono chiesto. Non avevo soldi né un gran fisico per fare il muratore, sono un ingegnere del linguaggio e allora ho iniziato a raccontare quell’esperienza. Altri hanno raccontato the Jungle come un luogo di tristezza e orrore e non era così. Così ho pensato di usare il simbolo dell’arcobaleno che nella Bibbia è simbolo di una nuova alleanza dopo il diluvio”.

Tosatti ricostruisce i fatti: senza dire di essere un artista iniziò a dipingere le pietre di uno stradone con i colori dell’arcobaleno, i profughi si sono uniti e hanno trasformato quella strada in un arcobaleno. “Avevo trovato i finanziamenti per rendere il luogo attrattivo ma il governo francese non ti diceva no in faccia, creava mille problemi, tutte le sere la polizia lanciava fumogeni, finché non ha distrutto la Jungle”. L’epilogo, si capisce, non cancella il valore di quella convivenza tra tante persone diverse.

 

Gian Maria Tosatti, New Man’s Land (Flag), 2016. @ The Jungle, Calais

 

Clicca qui per Adrian Paci a Tortolì: “La mia arte non è solo sui rifugiati, è su tutte le persone”

Il telescopio sulla Prenestina simbolo di una comunità

Altra esperienza che ha lasciato un segno positivo: il telescopio costruito sul tetto dell’ex edificio Fiorucci occupato nella periferia romana sulla Prenestina, al “MAAM Museo dell'Altro e dell'Altrove di Metropoliz città meticcia”. Era un’ex fabbrica di salumi dove sono confluite persone di varie etnie per avere un luogo, un’abitazione. Qui Giorgio de Finis iniziò a invitare artisti partendo da una constatazione: è più difficile sgomberare “opere d’arte che una comunità”. Tosatti accettò con piacere. “Ho fatto l’attivista per anni e l’emergenza abitativa mi ha trovato vicino”.

Insieme agli occupanti Tosatti ha creato un telescopio lungo 4-5 metri fatto di barili di petrolio e loro hanno deciso dove collocarlo: in cima a una torre alta 40 metri. Portare quell’oggetto scultura lassù era rischioso, constata l’artista che chiese: perché rischiare? “Mi hanno risposto: ‘In questa periferia dove tutto è brutto le persone non ci vogliono neanche vedere, in cima alla torre possono vedere tutti questo telescopio che è un simbolo che cerchiamo una vita migliore’. Lo hanno eletto a monumento. In una società democratica una scultura diventa un monumento attraverso il processo di una comunità”. 

Clicca qui per l’articolo sulla Biennale arte 2022 e sul Padiglione Italia

Nel quartiere napoletano di Forcella con i bambini

Altra esperienza che , rievoca nel teatro di San Francesco: nel quartiere di Forcella a Napoli dal 2013 al 2016 Tosatti ha creato una serie di installazioni, interventi e recuperi di luoghi insieme agli abitanti tra cui molti ragazzini. “L’artista non è un creatore di oggetti, di prodotti di mercato, è semplicemente un ricercatore. Se faccio questo mestiere è perché ho paura di morire senza saper perché ho vissuto e l’arte mi permette di mettere le mani nella materia della vita”. Tra i vari interventi a Forcella, con altri Tosatti ha fatto aprire una chiesa abbandonata dalla seconda Guerra mondiale e messa in sicurezza, quella dei santi Cosma e Damiano, e gli abitanti l’hanno scoperta.

Clicca qui per il sito di Gian Maria Tosatti

Il discorso si fa complesso: in quel quartiere, rammenta Tosatti, la camorra c’è e si sente. Con un gruppo di bambini ha per esempio creato un giornalino di Forcella, con i piccoli e gli adulti ha aperto un luogo trascurato e vuoto, un ciclo di azioni è diventato una “performance” insieme agli abitanti e non tanto per dire: grazie a un’azione prolungata nel tempo quei bambini, racconta, hanno compreso di non avere il destino segnato nella malavita, “incatenato a un destino tragico. Quando è finita ci chiedevano di continuare”. Esiti simili, constata Tosatti, “danno senso a quello che facciamo”.

Clicca qui per l’intervista a Franco Carta sul simposio a Tortolì

Dai sogni a Castel Sant’Elmo al Ciac di Foligno

Conviene concludere così. Anzi no, due ultime informazioni. La prima è che la Direzione regionale musei Campania ha restaurato e sabato 29 ottobre riapre in modo permanente l’installazione di Tosatti “My dreams they’ll never surrender” a Castel Sant’Elmo a Napoli. Dalle foto risulta un’opera di forte fascino, forse enigmatica. Per napoletane e napoletani e chi passa in città il suggerimento è di andare a vederla o a rivederla.
La seconda informazione riguarda il Ciac – Centro italiano di arte contemporanea di Foligno, in Umbria: l’istituto diretto da Italo Tomassoni e votato alla conoscenza del nostro tempo ospiterà una consistente mostra dell’artista dal marzo 2023 nei suoi vasti spazi nell’edificio a forma di parallelepipedo e rivestito in acciaio corten.

Clicca qui per "Storia della notte e destino delle comete" del Padiglione Italia alla Biennale Venezia 2022

 

Stefano Milianidi Stefano Miliani   
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