Shoah, così gli artisti ebrei sopravvissuti hanno raffigurato l'inferno del Lager
Lo studioso Salvatore Trapani ha pubblicato un saggio sorprendente e a Tiscali Cultura dice: “C’è un’arte che non è morta ad Auschwitz e si è contrapposta al nazismo”. Aggiunge: “Portare questo discorso al presente è politicamente scomodo. Chiediamoci perché Liliana Segre deve avere la scorta”


“Scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto barbarico”, affermò nel 1949 il filosofo e sociologo tedesco Theodor W. Adorno, sconvolto dall’orrore del nazismo e dall’Olocausto. “Di fronte alla Shoah. Arte fra testimonianza ed empatia” (Corsiero editore, 142 pagine con illustrazioni, 18,50 euro) è un saggio profondo e sorprendente di Salvatore Trapani che in qualche modo risponde a quel pensiero di Adorno: racconta come, in circostanze particolari, qualche artista ebreo sopravvissuto sia riuscito a rappresentare l’orrore dall’interno, i corpi martoriati, gli scheletri, e come altri autori, venuti dopo la guerra, abbiamo risposto a questa vergogna per tutto il genere umano.
Inferni danteschi
Anzi, di più: da questa analisi risulta evidente che quando un artista di nome Boris Taslitzky ha raffigurato corpi come spettri e scheletri ammassati, quando il pittore Felix Nussbaum ha rappresentato “il trionfo della morte”, noi vediamo come questi artisti ebrei abbiano saputo creare immagini che investono l’intera umanità; pur nell’unicità dell’Olocausto hanno interpretato autentici inferni danteschi in terra e denunciato il lato più torbido del genere umano. In sintesi, lo studioso sa andare oltre la cronaca storica e suggerirci che questo discorso è ancora oggi drammaticamente aperto e non solo perché il 27 gennaio ricorre la “Giornata della Memoria”.
Da Auschwitz alla risposta degli artisti
“Nel 1995 andai ad Auschwitz”, ricorda lo studioso di memoria storica, arti visive, “gender “equality” che vive a Berlino, lavora per il Memoriale per gli ebrei assassinati d’Europa e per il Memoriale dell’ex-campo di concentramento femminile di Ravensbrück a Fürstenberg-Havel. “In alcuni padiglioni, quelli della scritta Arbeit macht frei, c’erano mostre di paesi che avevano subito le deportazioni. Quello italiano con una pedana e una specie di spirale portava all’uniforme da prigioniero di Primo Levi. Nel ’95 era uscito il film The Schindler’s List. Il cinema e la letteratura hanno affrontato la Shoah e mi accorsi che si è parlato poco di arte contemporanea su questo tema”. Lo studioso si è messo a cercare e ha trovato “tantissimi artisti”.
Poca eco perfino a Venezia
Trapani studiava a Venezia e lo ha aiutato Shaul Bassi, professore di letteratura inglese e postcoloniale all’università Ca’ Foscari: “Suo zio si era occupato di arte e Olocausto, mi aiutò con la sua grande biblioteca, mi indirizzò. Mi chiesi come mai questo universo aveva avuto poca eco anche a Venezia dove l’arte è il motore propulsore”. Già: come mai, nella città che ha creato il primo ghetto? “Perché attualizzare la Shoah è politicamente scomodo, ci porta a guardare un presente fatto di ingiustizie, sopraffazioni, violenza”.

Con movimenti artistici di impronta tedesca quali l’Espressionismo e la Nuova oggettività come inquadramento culturale complessivo, Trapani analizza artisti che vennero internati e che rispondono ai nomi di Nussbaum e Taslitzky, già citati, di Jean-Paul Laurens, così come guarda generazioni successive con Aldo Sergio, Santiago Ydañez, Gabriele Arruzzo, Giorgio Ortona, Zbigniew Libera, Alan Schechner e Shimon Attie. Da lettori possiamo allora ripensare a opere come il “Muro del pianto” del 1993 di Fabio Mauri, installazione che rimandava, tra altre cose, alla Shoah, giusto per citare uno dei maggiori autori italiani del secondo dopoguerra, e rifletterci su …
“Mussolini ha integrato alla perfezione il lavoro di Hitler e dei nazisti”
A proposito del nostro Paese, a pagina 11 lo studioso annota: “Mussolini con i fascisti italiani ha integrato alla perfezione il lavoro di Hitler e dei nazisti tedeschi”. Verissimo. L’antisemitismo non era una malapianta cresciuta in esclusiva in Germania. Eppure una narrazione frequente, autoassolutoria, descrive noi italiani come distanti dalle persecuzioni naziste. Non andò esattamente così. I complici non scarseggiavano, alle SS. Le leggi razziali anti ebraiche emanate nel 1938 fecero da apripista a persecuzioni, rastrellamenti, delazioni. Le emanò, giusto per rammentarlo, l’ “italianissimo” fascismo. Chi non cita l’ideologia di Mussolini, compie una mancanza grave.
“Chiediamoci perché Liliana Segre ha bisogno di una scorta”
La Germania dagli anni ’60 e ’70 in poi ha cercato di affrontare la sua sanguinosa eredità. L’Italia? “Ha provato con risultati deludenti nel modo e nell’approccio, non si è mai posta il quesito a livello politico. Per esempio dei carabinieri e altre forze locali in Emilia Romagna, Piemonte, Val d’Aosta, Lombardia, andarono a prendere ebrei perché fossero deportati nei campi di sterminio. Questa narrazione è scomparsa o quasi. In Germania ogni libreria ha sempre un reparto su queste tematiche, da noi se vuoi un libro sui campi di concentramento di solito devi ordinarlo. Basta chiedersi come mai nel 2023 Liliana Segre debba essere accompagnata da una scorta perché rischia la vita. I sei milioni di ebrei morti non giustificano alcuna menzogna”.
In che modo Nussbaum riuscì a disegnare nel campo di Buchenwald
Il volume è tra i saggi finalisti del premio Nabokov (clicca qui per il link), è stato presentato alla Sinagoga di Firenze con Tomaso Montanari e pone più di una domanda bruciante. Tra le altre: qualcuno ha potuto creare arte in un Lager? “Felix Nussbaum riuscì a scappare da un campo di concentramento e raccontò cosa aveva visto – risponde a voce Trapani – Da tedesco, ebreo, ha sentito il peso di quanto ha vissuto, ha descritto esseri umani deprivati dalla loro dignità, ridotti a ombre di sé stesse. Successivamente finì a Buchenwald. Fu messo nella quarantena dei prescelti ai lavori forzati (se portavano malattie venivano eliminati subito), e trovò il modo di disegnare perché i criminali nazisti lo reclutarono per un ufficiale delle SS che voleva un ritratto. Erano gli ultimi mesi del nazismo e arrivò la liberazione del campo”.
“Boris Taslitzky citò Primo Levi: pronti a tutto per sopravvivere”
L’autore rievoca a Tiscali Cultura un incontro con Boris Taslitzky, pittore francese, ebreo, vissuto dal 1911 al 2005: “Citando Primo Levi mi disse che nei campi di concentramento per sopravvivere si era pronti a tutto; lui se ne rese conto e rimase talmente scioccato da voler fare qualcosa di buono e quindi disegnò i compagni di prigionia”. Inutile dire che, se veniva scoperto, per Taslitzky era finita.
“Narrare il mondo come è: così hanno fatto quegli artisti sopravvissuti ai campi di concentramento. L’arte non è morta ad Auschwitz, loro l’hanno salvata, anche a rischio di grandi critiche, non hanno permesso che vincesse il linguaggio ‘purificatore’ dei nazisti e dei fascisti”. Non solo gli artisti: con questo saggio pure Trapani compie un’azione storica di forte empatia, contribuisce a scardinare le mistificazioni e le dimenticanze dei fascismi odierni, più o meno camuffati, sempre più prepotenti.
Clicca qui per la scheda editoriale del libro “Di fronte alla Shoah”