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Con la sua minacciosa propaganda Shepard Fairey ricorda le dittature, i Cccp e fa temere Trump. Le foto

Alla milanese Fabbrica del vapore una mostra dello street artist nordamericano che ritrasse Obama. Con sorprendenti affinità con l’iconografia del gruppo punk italiano, lancia un monito sul presente

Stefano Milianidi Stefano Miliani   

È una coincidenza temporale curiosa e, forse, non è del tutto una coincidenza, quella che rimanda la propaganda creata dall’artista Shepard Fairey sotto il titolo “Obey” (obbedire) sia ai regimi dittatoriali del ‘900 come fascismo e stalinismo, sia, per questi riferimenti, all’iconografia adottata dal fenomenale gruppo punk-rock dei Cccp. E da lì ad arrivare alle minacce di Trump alla democrazia il passo magari non è così breve come può sembrare.

 A suggerire simili affinità, almeno a chi scrive, è la mostra in corso fino al 27 ottobre nel fabbricato detto “la cattedrale” alla Fabbrica del vapore di Milano, complesso industriale convertito a destinazioni culturali inclusi laboratori, centri di ricerca e uno spazio espositivo, incastonata tra il Cimitero monumentale e la “China town” milanese.

In questi ampi spazi lo statunitense Fairey ha disposto la sua prima vasta retrospettiva italiana. Anzi tutto, se il nome vi sfugge, vi dirà molto ricordare che fu lui a creare il ritratto di Barack Obama dal titolo “Hope” per la campagna elettorale del 2008 dell’allora futuro presidente degli Stati Uniti. Quel ritratto che resta un riferimento per ideali, democrazia, difesa dei diritti sociali e libertà fornì un contributo straordinario a Obama, vennero stampati 300mila poster. Adesso è alla Fabbrica del vapore e dpo che a Roma la galleria Rosso20sette arte contemporanea ne ha esposto una versione fino al 13 aprile scorsi insieme a opere di Keith Haring e dello street artist Laika.

Definire Fairey “street artist” è limitativo in quanto viene dalla strada, vero, tuttavia lavora da tempo anche con istituzioni e centri d’arte. A Milano focalizza buona parte della rassegna sulla sua campagna di propaganda “Obey”, anzi “OBEY”, tutto maiuscolo. Quella campagna propagandistica rimanda all’iconografia costruttivista della Russia intorno alla rivoluzione del 1917 e poi dell’Unione sovietica, con stelle rosse, martelli impugnati da mani forte e una stella rossa a cinque punte con un paio di occhi vigili e severi in un volto arcigno e minaccioso. 

Nel 1989 Fairey lancia la sua prima campagna con adesivi “Obey” ispirandosi al wrestler (lottatore) francese André The Giant. Poi prosegue. In un’immagine in vetta a un edificio enorme che può ricordare anche l’architettura nazista svetta la scritta gigante “OBEY”, affiancata dalle due parti di quel volto incombente. Un testo breve e perentorio sottostante mette in chiaro alcuni principi di quel regime come del capitalismo consumistico: “Vogliamo tutti risposte”. “solo i superiori sanno la vera risposta”, i dubbi logorano, basta consegnarsi e sottomettersi con fede per “darci la libertà di non pensare” per arrivare alla conclusione che darà pace e tranquillità, “obbedisci, consuma, ripeti”.

Particolare di un'opera della mostra di Shepard Fairey "Obey" alla Fabbrica del Vapore, Milano. Foto Stefano Miliani

Autore di immagini dalle campiture nette, semplici e dirette con l’intento primario di comunicare chiaramente, Richard Fairey ha iniziato a lavorare, almeno in pubblico, sui muri delle strade a fine anni ’80. Una sezione della mostra, quella sui riferimenti musicali, ricorda come l’artista abbia amato la cultura punk tanto da raffigurare anche Joe Strummer dei Clash. E alcune immagini fanno pensare ai Cccp Fedeli alla linea, il miglior gruppo punk italiano che hanno suonato dal 1982 al 1990 e hanno ripreso dall’anno scorso, sotto la guida di Giovanni Lindo Ferretti e di Massimo Zamboni con concerti ad alta intensità.
Il gruppo italiano riprendeva l’estetica di una certa propaganda sovietica e la volgeva in parodia tragica, amara. Con tutte le enormi differenze del caso, anche Shepard volge in parodia, drammatica, quei riferimenti propagandistici con gli inviti, perentori, a “obbedire”, a consumare. “Produci, consuma, crepa”, cantava Ferretti nel brano “Morire”. Il discorso non è troppo diverso.

Nella sua ossessiva propaganda “obey” affinché i cittadini, pardon i consumatori, scelgano di obbedire per una vita senza dilemmi, Shepard riesce a inquietare. Ci riesce anche per una sorta di coincidenza temporale: il 4 novembre gli Usa eleggono il nuovo presidente.
Se vince Trump ha già dichiarato in pubblico che vorrebbe fare il dittatore per almeno un giorno e ha promesso di mandare in galera molti democratici suoi avversari. Se il tycoon perde molti temono scontri, violenze, non accetterà una sconfitta come non l’ha accettata nel 2020. Né si dimentichi il goffo eppure minaccioso assalto al Campidoglio a Washington con la tentata insurrezione di una folla trumpiana il 6 gennaio 2021.
Shepard ha detto di essersi ispirato anche a romanzi come “1984” di George Orwell e “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury. Con i rossi e blu netti e accattivanti con la campagna “obey” l’artista sa cogliere quali minacce, con altre forme rispetto alle dittature novecentesche d’Europa, circolino nella politica del suo e di altri paesi occidentali e non.

La mostra è promossa dal Comune di Milano in collaborazione con Wunderkammern, che l’ha organizzata, e il Gruppo Deodato, coprodotta con la Fabbrica del Vapore.

Per Shepard Fairey alla Fabbrica del Vapore di Milano clicca qui

 

Stefano Milianidi Stefano Miliani   
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