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Obey, lo street artist che ha conquistato il mondo con il ritratto di Obama. Ecco cosa ha fatto a Milano

L’artista americano ripercorre 35 anni di carriera e non smette di ruggire: la mostra alla Fabbrica del Vapore di Milano fino al 27 ottobre 2024

Giacomo Pisanodi Giacomo Pisano   
Obey, lo street artist che ha conquistato il mondo con il ritratto di Obama. Ecco cosa ha fatto a...

Bella la street art, valorizza angoli grigi e dimenticati delle nostre città, ci fa sentire meno soli quando attendiamo il bus o la metropolitana per andare a lavoro, colora le nostre giornate e rende uniche pareti altrimenti anonime. Bella la street che ci aiuta a sentirci parte della città stessa, a caratterizzarla, a renderla unica e speciale strappandoci un sorriso. Ma l’arte di strada è molto di più: incarna la voce di chi non si sente rappresentato, di chi lotta contro lo status quo e i pregiudizi, di chi rivendica un mondo più equo. Tra queste voci c’è l’urlo di Obey, in mostra alla Fabbrica del Vapore di Milano dal 16 maggio al 27 ottobre 2024.

Un artista in prima linea

Nato da una tranquilla famiglia della Carolina del Sud, Shepard Fairey subito dopo aver concluso i suoi studi artistici, nel 1989 attira l’attenzione del pubblico con un’operazione di urban decor destinata a diventare il suo marchio di fabbrica e una vera leggenda: Andre the Giant Has a Posse. La sua prima azione di street art è dedicata al celebre lottatore di wrestling di cui realizza grandi stickers che applica ai muri cittadini suscitando un grande clamore. Non c’era nessuna ragione sociale o politica nella scelta del soggetto quanto la volontà di utilizzare una figura pop cara all’immaginario collettivo e renderla virale, rivendicando gli spazi urbani come luogo per la libera espressione. La fama internazionale arriva nel 2008 con il poster “HOPE”, ritratto di Barack Obama ed emblema della campagna presidenziale per la conquista della Casa Bianca. Pur non facendo politica in modo convenzionale Obey ha voluto manifestare il suo indirizzo per un futuro sostenibile, per un paese più solidale e votato alla pace.

OBEY: The Art of Shepard Fairey

La mostra, organizzata da Wunderkammer e ospitata alla Fabbrica del Vapore a Milano, ripercorre i trentacinque anni della carriera dell’artista americano coniugando una selezione di opere scelte dallo stesso autore a lavori inediti realizzati appositamente per questo evento. Obey incarna lo spirito ribelle delle subculture Punk e Hip Hop, le mixa in uno stile di linee e colori che hanno fatto scuola e che sono stati tradotti anche in una linea d’abbigliamento che porta il suo nome.  Il percorso espositivo è studiato per far comprendere fino in fondo la vera essenza dell’artista, il suo impegno nel diffondere messaggi che facciano riflettere sul pianeta e sul nostro futuro. I disegni, volutamente semplici e i supporti poveri, sono già indicativi di una scelta di comunicazione inclusiva e volta al riuso.

In occasione della mostra Obey ha realizzato anche un grande murale, l’unico a suo nome in Italia, dal titolo Tear Flame Peace, un inno alla pace universale, nel quartiere Gallaratese. Ancora una volta la street art si fa portavoce di un monito fondamentale per la nostra salvezza. In tempi di guerra ribadire la necessità della pace non è mai scontato, anzi. “Quando guardo l’umanità in generale, la maggior parte delle persone desidera vivere in pace – ha dichiarato l’artista -Attraverso la mia arte, voglio ricordare alle persone l’uguale umanità di tutte le persone, indipendentemente dalla loro razza, religione, nazione o cultura. Non c’è un noi contro di loro; c’è solo un noi.”

Tra arte e musica

La grande universalità del messaggio artistico di Shepard Fairey trova corrispondenza anche nella sezione dedicata alla sua musica preferita, in cui ci sono band che sono citate tra le fonti d’ispirazione più care per lui: Public Enemy, Sex Pistols, Black Flag, Bob Marley, tutti artisti che hanno fatto musica cercando un contatto diretto con l’ascoltatore, senza girare intorno alle cose e andando dritti al nocciolo della questione.

Tutto il percorso ruota sul senso di giustizia e di coerenza. La scelta stessa del luogo che ospita la mostra non è un caso. La Fabbrica infatti realizzava elementi per ferrovie e tramvie a cavallo delle due guerre mondiali: gestori e operai si sono sempre rifiutati di riconvertirla per produrre materiale bellico.

L’arte ci chiede di capire che siamo un’unica gente su un unico pianeta, sta a noi abbracciare il messaggio, farlo nostro e diffonderlo.

Giacomo Pisanodi Giacomo Pisano   
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