Michelangelo prese soldi in modo indebito? La tragedia lunga 40 anni della magnifica statua del Mosé
Un documentario di Sky sul mausoleo per Giulio II con la statua di Mosé in San Pietro in Vincoli a Roma e sulle accuse dei committenti all’artista. Ne parlano qui Cristina Acidini e Antonio Forcellino
“Michelagnolo finì il Moisè di cinque braccia di marmo, alla quale statua non sarà mai cosa moderna alcuna che possa arrivare di bellezza”. Così Giorgio Vasari nelle sue “Vite” lodava il Mosé scolpito da Michelangelo nella tomba di Papa Giulio II e oggi meta di un flusso incessante di turisti nella chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma. Alla scultura con la faccia “che ha certo aria di verso Santo e terribilissimo principe” il biografo degli artisti riservò numerose pagine. Più che alla bellezza della scultura Vasari scrisse delle traversie, delle spese enormi per un mausoleo commissionato dal pontefice nel 1505, interrotto e accantonato più volte dall’artista, svelato nel 1545 in forma molto ridotta rispetto a quanto aveva immaginato il Buonarroti: basti dire che il progetto originario prevedeva 40 statue e la collocazione nella basilica di San Pietro in Vaticano e su una piattaforma con quattro lati, non addossato a una parete come nel transetto destro della chiesa sul Colle Oppio e con sette sculture.
Una vicenda travagliata in un documentario di Sky Arte
Alla tormentatissima vicenda della tomba di Giulio II Sky Arte ha dedicato il documentario “Michelangelo santo e peccatore” in onda per Pasqua, domenica 31, alle 21.15, in streaming solo su Now, disponibile anche on demand, prodotto da Sky e Quoiat Films.
Con interviste a esperte ed esperti, il film ricompone la forma originaria del mausoleo in una affascinante e nitida ricostruzione virtuale dello studio Centounopercento di Roma, ripercorre le traversie e i passaggi di denaro con i committenti (Giulio II e, dalla sua morte, i familiari, i potenti Della Rovere di Urbino). Appunto, i danari. Vasari adombrò il sospetto di un uso improprio dei compensi. “Francesco Maria duca di Urbino nipote di papa Giulio […] si doleva di Michelagnolo dicendo che aveva ricevuto sedicimila scudi per detta sepoltura e che se ne stava in Fiorenza a’ suoi piaceri”.
Cristina Acidini: “Michelangelo reagì alle accuse di interessi poco chiari”
“Michelangelo ebbe accuse dagli eredi, dai Della Rovere, relative alla tomba per Giulio II e ai marmi approvvigionati per l’impresa”, ricorda a Tiscali Cultura Cristina Acidini, presidente dell’Accademia delle arti del disegno fondata a Firenze nel 1563, storica dell’arte, studiosa proprio del Buonarroti, tra gli esperti intervistati nel documentario.
“Non è chiaro chi avesse pagato i marmi per i ‘Prigioni’ poi andati in Francia (sculture destinate al mausoleo originario oggi al Louvre, ndr), lui li aveva donati. Nell’edizione delle ‘Vite’ del 1550 Vasari fece osservazioni sulla vicenda della tomba. Michelangelo reagì facendo scrivere ad Ascanio Condivi una biografia in cui sottolineava la dedizione e l’onestà con cui si era occupato della tomba che per lui fu una tragedia durata 40 anni attraverso rimodulazioni del contratto”. Il Buonarroti, continua la studiosa, “ebbe una reazione molto chiara e ferma, organizzò questa contro-vita per scagionarsi dall’accusa di aver alimentato interessi poco chiari: al tempo la questione era molto sentita, le accuse sono circolate”.
La studiosa: “Le prove di una malversazione non ci sono, i sospetti sì”
Nell’edizione successiva delle sue “Vite”, quella del 1568, Vasari ammorbidì le sue posizioni? “Tenne conto della ‘Vita’ del Condivi e usò toni più sfumati”, fa sapere Acidini. Lei come la vede? “La vicenda ha margini di incertezza. Secondo me le prove di una malversazione non ci sono, i sospetti sì”, risponde la studiosa che, nell’intervista a Sky Arte, pone un punto fermo: “Non si può giudicare un’opera dal comportamento degli autori – afferma a Tiscali Cultura - Vale per tutti. Se si inizia con questa cultura che tende a rivedere il passato, quanti artisti hanno ombre nella vita e professionali? Il campione è Caravaggio”.
Forcellino: “Era ossessionato dal restare senza soldi”
Nato nel 1475 a Caprese Michelangelo nell’aretino, il Buonarroti morì a Roma nel 1564 ricco, con denari nascosti in casa, eppure dedito a una vita frugale, non ad accumulare soldi per lussi e gozzoviglie. “Mi ricorda l’ossessione di restare senza soldi di certi vecchi”, commenta il restauratore e storico dell’arte Antonio Forcellino, intervistato nel documentario di Sky Arte. “Viveva per l’arte – chiosa a Tiscali Cultura - Inseguiva i progetti nuovi, quando consumava una cosa passava ad altro, non sapeva resistere – prosegue lo studioso del Buonarroti e del Rinascimento – È vero che sui soldi per la tomba di Giulio II ha giocato. Disse di non averli ricevuti, invece li ebbe, lo sappiamo per certo, i funzionari del duca di Urbino lo misero di fronte all’evidenza, gli presentarono le ricevute che poi sono state ritrovate”.
Michelangelo intascò quattrini indebitamente?
Giulio II morì nel 1513, i papi successori, della famiglia Medici, commissionarono all’artista opere come gli affreschi nella Cappella Sistina, per cui fece altro. I Della Rovere si stufarono di aspettare. Ancora Forcellino: “Alla fine fu trovato un accordo con il duca di Urbino nel quale le statue di Michelangelo venivano valutate mille ducati l’una ed è lì il grande vantaggio dell’artista quando, in media, una statua a Roma e a Firenze veniva pagata tra i 200 e i 300 ducati”. Tralasciando qui altri passaggi complicati e compensi, “lui chiese a Raffaello da Montelupo di finire tre statue. I Della Rovere allora dissero: ‘Ti abbiamo pagato mille ducati a statua, ora dici che non ci dai tre statue autografe e le fai finire a un altro?’. Da qui nacque l’idea di ridefinire tutto il progetto, nel 1542”.
Forcellino: “Dopo problemi di avidità, la tomba divenne una riflessione spirituale”
Quale opinione ha maturato, allora, Forcellino? “La mia idea – risponde al nostro sito - è che all’inizio ci siano stati problemi di avidità perché Michelangelo si considerava molto, che abbia avuto i soldi ma gli accordi non erano quelli, che fino a un certo punto si sia comportato come i grandi artisti, con tutta l’attenzione rivolta alla forma. Poi però qualcosa cambia per cui la tomba diventa come la Cappella Paolina in Vaticano, ha a che fare con la sua religiosità. L’artista avrebbe potuto chiudere la questione dando i due ‘Prigioni’, invece la riaprì perché vi colse la possibilità di fermare, con la tomba, quell’idea particolarissima di devozione che diventerà eretica con gli ‘spirituali’ di Vittoria Colonna”.
Qui serve un inciso: Forcellino fa riferimento a una corrente di metà ‘500, di cui ha scritto, dalle intense aspirazioni religiose riformistiche capitanata dalla nobile e poetessa romana, un messaggio che il suo caro amico Michelangelo avrebbe manifestato negli affreschi della “Conversione di Saulo” e della “Crocifissione di San Pietro”, eseguiti per l’appunto nella Cappella Paolina
Il docufilm
Della durata poco superiore all’ora, “Michelangelo santo e peccatore” spazia tra Roma e Firenze con una tappa al luogo di nascita Michelangelo Caprese e una alle cave nelle Apuane dove l’artista andò di persona per scegliere il marmo. Un po’ troppe le riprese dall’alto con drone delle due città.
Le altre persone intervistate sono la storica dell’arte britannica Kate Bryan che tiene il filo narrativo del documentario, la storica dell’arte Katy Hessel, la direttrice dei Musei Vaticani Barbara Jatta e quella della Galleria dell’Accademia di Firenze Cecilie Hollberg, la curatrice e storica dell’arte Amina Gaia Abdelouahab, Mitchell Broner Squire per le ricostruzioni virtuali 3D del progetto originario, l’avvocato Daniele De Bonis, l’artista Luciano Massari, lo storico dell’arte William E. Wallace.