Il nero non rappresenta solo il lutto. Kapoor, Quinn, Burri: quando quel colore in arte dà luce e fa tendenza
Chi dice che il colore più scuro è sempre sinonimo di pensieri cupi? Può essere ambivalente e perfino luminoso come dimostrano due mostre a Firenze, di Anish Kapoor e di Nathaniel Mary Quinn, e una a Perugia con opere di Burri e Perugino
Chi dice che il nero non possa essere anche un colore luminoso? Non può essere anche fonte di gioia senza rimandare per forza a stati d’animo quali “essere d’umor nero” o attraversare “giorni neri”? Deve rappresentare, almeno in occidente, solo il lutto? Certo che no.
La moda lo sa bene, lo sapeva bene un secolo fa il pittore russo suprematista Malevic. Sulle tante ambivalenze del pigmento più oscuro ha indagato uno studioso dei colori, Michel Pastoureau, nel suo saggio “Nero. Storia di un colore” (Ponte alle Grazie, 288 pagine, 15 euro, clicca qui per la scheda editoriale e le prime pagine del libro), mentre in questo autunno-inverno almeno tre mostre invitano a guardare al nero senza fare gli scongiuri né a cadere in depressione: anzi, al contrario, parlano di neri in grado di stimolare curiosità, gioco, riflessioni, confronti, non pensieri depressivi. Due appuntamenti sono a Firenze: a Palazzo Strozzi e, suddiviso in due sezioni, al Museo Novecento e al Museo Stefano Bardini; un terzo appuntamento è a Palazzo Baldeschi al Corso a Perugia.
L'arti-star Anish Kapoor
Partiamo da Palazzo Strozzi dove, per la stagione 2023-24, la Fondazione omonima, con il supporto della Galleria Continua di San Gimignano, ha chiamato una delle arti-star più star del globo, Anish Kapoor. Indiano nato a Mumbay nel 1954, cittadino britannico, proprietario di un intero palazzo acquistato recentemente a Venezia, insieme al direttore dell’istituto fiorentino e curatore della mostra Roberto Galansino l’artista ha apparecchiato appositamente per l’istituto nel centro storico “Untrue Unreal” aperta fino al 4 febbraio 2024
Rettangoli senza fondo come i buchi neri
Prima di salire al piano nobile, nel cortile dell’edificio rinascimentale del ‘400 c’è un mega cubo bianco al cui interno si vedono tre rettangoli neri. Di primo acchito sembrano talmente profondi che potranno farvi pensare ai buchi neri, quelle mostruose entità nello spazio dalle quali, a quanto si sa finora, non esce neppure un filo di luce. Solo da vicino si capisce che non sono tridimensionali, bensì piani bidimensionali.
La sorpresa dei tondi neri
Queste finestre nel biancore sembrano abissi verso un infinito misterioso? Chissà. Kapoor è innamorato del nero, usa il Vantablack, il nero più nero a oggi elaborato sul pianeta Terra capace di assorbire il 99,9% delle radiazioni luminose di cui l’artista indiano-inglese ha acquisito i diritti nel 2014. Al piano nobile alcune opere l’effetto si inverte: dei tondi neri a un primo sguardo sembrano perfettamente piani, solo al loro fianco si scopre che si staccano dal muro, sono inscritti in una sorta di parabola e sormontati da una sfera che, stando di fronte, risulta invisibile, non si percepisce.
Forme rosso sangue
Qualcuno forse prenderà come “spoiler” questo dettaglio, ciononostante è indispensabile ricordare come Kapoor giochi da una vita con superfici concave e convesse e spesso usa il nero per scombinare i sensi. A scanso di malintesi, “Untrue Unreal” non gioca esclusivamente sul pigmento che assorbe più luce. Tra superfici che riflettono e distorcono l’architettura delle sale e i visitatori, un groviglio nero di materia volutamente informe, in altre sale alcune carcasse ricordano il dipinto del bue squartato di Rembrandt: sono di un rosso sangue con porzioni nere, un sangue forse raggrumato che connota il pezzo più toccante dell’esposizione: un enorme parallelepipedo di cera si muove impercettibilmente dalla prima sala alla terza e ritorna attraverso una porta lungo un piano di cera con binari, anch’esso di un rosso raggrumato. E se altrove l’opera di Kapoor risulta un po’ fredda, distante, con i neri e quella cera purpurea invece coinvolge con più forza.
Clicca qui per la mostra di Anish Kapoor a Palazzo Strozzi a Firenze
Burri a cospetto del Perugino
Questo intreccio fra Rinascimento, nero, forme grumose, volendo può rimandare a opere come “Rosso plastica” del 1962 del tifernate Alberto Burri messo a cospetto con la sua bella porzione di nero dei fondi neri del suo conterraneo umbro Pietro Vannucci detto il Perugino nella mostra “Nero Perugino Burri” alla Fondazione Perugia in Corso Vannucci e prorogata fino al 7 gennaio.
Affinità imprevedibili
Curata da Vittoria Garibaldi e dal presidente della Fondazione Burri di Città di Castello Bruno Corà, la rassegna ha tentato un azzardo formale e l’ha azzeccato in pieno: muovendo da una “Madonna con Bambino e angeli” di fine ‘400 dal fondo nero come la notte, di proprietà della Fondazione perugina, i due storici dell’arte hanno affiancato per la prima volta opere di Burri e di Perugino svelando affinità alquanto imprevedibili, almeno per noi non addetti ai lavori. Così quel nero profondo che irrompe nella plastica grumosa di un rosso squillante di Burri, vissuto dal 1915 al 1995, diventa un abisso pari alla notte da fondo alle figure sacre del pittore rinascimentale che fu maestro di Raffaello e visse dal 1446 al 1523.
La penombra nelle sale e l’illuminazione sulle singole opere incrementano la sensazione di un viaggio tra la luce e la notte senza che una escluda l’altra. La mostra è stata realizzata dalla Fondazione Perugia con la Fondazione Burri.
Clicca qui per la mostra di Alberto Burri e Perugino a Palazzo Baldeschi a Perugia
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I ritratti distorti di Nathaniel Mary Quinn
La terza tappa intorno al nero ci riporta a Firenze, al Museo Novecento e al Museo Stefano Bardini, istituto del Comune in Oltrarno da non confondere con Villa Bardini che è quasi a Forte Belvedere. In queste due sedi fino all’11 marzo 2024 l’afroamericano Nathaniel Mary Quinn (Chicago, 1977) dispiega i suoi ritratti dai volti distorti e sfigurati un po’ alla maniera di Francis Bacon. La mostra si intitola “Split Face”, l’hanno curata Sergio Risaliti e Stefania Rispoli, l’ha organizzata il Museo Novecento.
In omaggio a James Brown e persone care
Il nero, stavolta, è nel senso che diamo alla parola “nero” quando per convenzione parliamo, soprattutto noi bianchi, di noi umani, vale a dire del colore della pelle. Se con Quinn la distorsione dei volti può corrispondere alle tante distorsioni della nostra psiche, questi ritratti suonano anche come celebrazioni, sia quando il pittore ritrae persone a lui care sia quando raffigura personaggi pubblici e geniali come James Brown interpretandone la vitalità e l’irruenza deformando linee e colori. Ottenendo peraltro un effetto più sorprendente al Museo Bardini laddove la sua pittura del nostro tempo si inserisce in mezzo a un profluvio di croci dipinte, tavole, sculture e oggetti tra un Medioevo e un Rinascimento dove svettano nomi come Donatello o il Pollaiolo. E qua il nero ha senza dubbio e giustamente un’accezione positiva.
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