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Favoloso Calvino, alle Scuderie del Quirinale in scena parola e arte di chi seppe dire no al Pci e al denaro

Lo scrittore ligure è protagonista di una mostra che lo racconta nella sua meravigliosa complessità. Il suo senso di giustizia lo rese partigiano durante la resistenza e l’onestà gli fece abbandonare il partito comunista a cui era affiliato, perché in disaccordo con un intervento armato operato dall’Unione Sovietica

Giacomo Pisanodi Giacomo Pisano   
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Le Scuderie del Quirinale a Roma ospitano fino al 4 febbraio 2024 “Favoloso Calvino”, una mostra dedicata allo scrittore ligure che più di altri seppe posare sul mondo uno sguardo intenso e immaginifico.

Curata da Mario Barenghi, l’esposizione affianca ad un corredo di testi esaustivo e chiarificatore della persona e dell’intellettuale Calvino, opere legate in vari modi alla grande letteratura di cui è stato artefice: Carpaccio, De Chirico, Gnoli, Melotti, Picasso, solo per citarne alcuni.

Una vita per l’impegno

Calvino fu uomo dai grandi ideali e dall’impegno costante verso l’uguaglianza sociale. Il suo senso di giustizia lo rese partigiano durante la resistenza e l’onestà gli fece abbandonare il partito comunista a cui era affiliato, perché in disaccordo con un intervento armato operato dall’Unione Sovietica. Non violento, e pacifista per vocazione, lo scrittore ha portato avanti con coerenza una carriera giornalistica e letteraria senza mai cedere alle lusinghe del denaro e della bella vita. Grande viaggiatore e collezionista di esperienze strutturò tutta l’esistenza nell’interpretazione della realtà, ma in un modo inusuale, diventato poi il tratto dominante di uno stile unico.

Uno sguardo diverso

In una delle sue lettere scrisse: “Quello cui io tendo, l’unica cosa che vorrei poter insegnare, è un modo di guardare, cioè di essere in mezzo al mondo. In fondo la letteratura non può insegnare altro”. In questa frase sta forse tutta la poetica umana e professionale di Calvino, perennemente divisa in due fasi: immergersi nella realtà, osservare, comprendere, che fanno parte del suo lato metodologico, e poi interpretare, trasfigurare, immaginare, che divengono atto artistico e creativo.

Sia nei romanzi più complessi che nell’apparente leggerezza della trilogia che lo ha reso noto anche a un pubblico più giovane (“Il Cavaliere inesistente”, “Il Visconte dimezzato”, “Il Barone rampante”), Calvino non ha mai tradito questo schema e appare oggi, come allora, attuale, fresco, lungimirante. Lo studio operato per la stesura de “Le città invisibili”, raccolta di racconti pubblicata nel 1972, contiene osservazioni così previdenti da essere illuminanti anche per la nostra società.

Una città infelice può contenere, magari solo per un istante, una città felice; le città future sono già contenute nelle presenti come insetti nella crisalide”. E ancora: “Per vedere una città non basta tenere gli occhi aperti. Occorre per prima cosa scartare tutto ciò che impedisce di vederla, tutte le idee ricevute, le immagini precostituite”.

Calvino è forse lo scrittore italiano che più ha osservato la realtà per poi reinventarla, capace di equilibrare buio e luce, di evocare mondi inesistenti e radicarli fermamente sulla terra come fossero reali. Un’arguzia frutto di curiosità infinita verso la vita e le persone, una rara attenzione ai dettagli, ai limiti e alle mancanze che le parole, se oneste, possono vincere e colmare.

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