Un frate scosta la tenda, l’altro è stupefatto: cosa svela Giotto visto da vicino nella Cappella Bardi in restauro
Nella Chiesa di Santa Croce a Firenze si lavora al pieno recupero delle scene su San Francesco affrescate dal pittore fra il 1317 e il 1321: sui ponteggi si vedono dettagli incredibili e ci saranno visite guidate
Tanto più visto da vicino, Giotto lascia di stucco per quanta umanità profonde nei suoi personaggi. La Cappella Bardi nella chiesa di Santa Croce a Firenze, alla destra dell’altare e quindi nella posizione di maggior rilievo, è dedicata a storie francescane: l’ha affrescata l’artista vissuto dal 1267 circa al 1337 con la sua bottega e dispiega sulle pareti sei scene cui se ne aggiunge una settima affacciata sul tramezzo sul momento in cui il santo riceve le stimmate. Tranne quest’ultima scena posizionata in alto, restaurata una decina di anni fa durante un intervento sulla Cappella maggiore, il resto del ciclo è in restauro.
La tenda scostata, lo sgomento del fraticello
Come accade sempre più spesso gli organizzatori consentono visite guidate sui ponteggi per piccoli gruppi e la distanza ravvicinata regala la possibilità di incontri stupefacenti con le invenzioni del pittore. Per descrivere alcuni dettagli: nonostante le lacune enormi come non meravigliarsi di fronte al frate mentre, stupefatto, scosta una tenda e si trova a lato nell’apparizione di San Francesco (appena morto) a fra’ Agostino e al vescovo malato a letto? Oppure guardiamo la scena dove i frati accertano la presenza delle stimmate: accanto al corpo di San Francesco sul letto di morte si nota, palpabile, lo sgomento del fraticello, seppur consunto, che guarda verso l’alto.
Nella medesima scena, come non esplorare i volumi e le pieghe nel volto del religioso in mezzo ad altri due che, da sinistra, guarda il corpo privo di vita dell’uomo di Assisi? Come non chiedersi cosa stia provando, meditando? Cui si accompagna un dettaglio tecnico: da vicino si vedono bene alcune prove di pennellata perché il maestro Giotto sperimentava anche lì per lì.
Sui ponteggi di sera per non intralciare chi restaura
Intervenire su Giotto è sempre un’impresa e, inutile nasconderlo, anche un rischio: ai disastri del passato l’approccio moderno, scientifico, cerca di rimediare come può. L’Opera di Santa Croce, ente proprietario, ha affidato il restauro del ciclo all’Opificio delle pietre dure cui contribuiscono economicamente la Fondazione Cassa di risparmio di Firenze e l’Associazione restauro patrimonio artistico italiano – Arpai mentre la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio del capoluogo toscano esercita il suo compito di sorvegliare i lavori.
A far da guida a Tiscali Cultura sui ponteggi, a sera quando restauratrici e restauratori hanno finito il lavoro quotidiano e quindi non subiscono intralci, è Donata Grossoni, responsabile del servizio di valorizzazione di Santa Croce e storica dell’arte.
Gli scempi del ‘700
I ponteggi hanno le attrezzature e i macchinari di lavoro e, da vicino, si percepisce ancora più nitidamente la storia tormentata di questo ciclo della piena maturità giottesca venuto dopo i caposaldi della Basilica superiore e di quella inferiore di Assisi e della Cappella degli Scrovegni a Padova. La datazione precisa degli affreschi “è discussa, noi riportiamo gli anni 1317-1321”, puntualizza Donata Grossoni e sintetizza alcuni fatti salienti: nel ‘700 la Cappella venne scialbata, vale a dire le pitture furono coperte da intonaco. Oggi suona un’eresia, allora non lo era, il Medioevo non era apprezzato.
La storica dell’arte continua così: “Nel secondo decennio dell’800 furono inseriti sopra l’intonaco e il muro scialbato due cenotafi”. Col senno di poi, furono danni notevoli. A metà del XIX secolo sotto l’imbiancatura furono trovate tracce degli affreschi. Il restauratore e pittore Gaetano Bianchi si mise al lavoro, rimosse l’intonaco e le tombe “però dipingendo quanto possibile” come era allora la prassi. Nel 1958-59 il restauratore di altissima levatura Leonetto Tintori con l’allora soprintendente di Firenze Ugo Procacci “riportarono pienamente alla luce il testo giottesco eliminando gli interventi di Bianchi e rispettando la filosofia del restauro di Cesare Brandi: l’opera è fatta anche del tempo che ce l’ha consegnata”.
Tante macchie bianche, sembra nevichi
Oggi le lacune, che costellano in modo drammatico l’intero ciclo, non vengono ridipinte come fece Gaetano Bianchi con mano pesante per i nostri standard: invece quegli spazi si colmano con interventi facilmente rimuovibili e colorature che da lontano diano una sensazione di unità o di coerenza cromatica mentre, da vicino, risultano chiaramente come essere interventi successivi. Non a caso Tintori lasciò minuscole finestrelle di colori applicati da Bianchi invisibili dal pavimento ma che si vedono dal ponteggio. Quelle macchie bianche incidono: per dire, San Francesco appare ai confratelli mentre sembra nevicare a tutto spiano, tante sono le lacune.
Con quali tonalità colmare le lacune?
Con quali tonalità di colore colmare le lacune? Con la classica pittura a tratteggio secondo la lezione del teorico del restauro Brandi? “Deciderà il comitato scientifico che si avvale di più competenze”, risponde Donata Grossoni. Preceduto da indagini diagnostiche multidisciplinari e non invasive, vale a dire con tecniche in grado di non toccare le pitture murarie, l’intervento è iniziato nel giugno 2022.
Quel frate dalla mandibola preminente
Giotto eseguì le pitture murali “a fresco”, cioè su intonaco inumidito, e “a secco”: “Mescola le due tecniche per necessità espressive e per avere un livello di controllo altissimo”, prosegue la studiosa.
Torniamo all’apparizione di Francesco ad Arles dove, a sinistra, compare Sant’Antonio da Padova. Oltre a far notare come gli archi e linee diano un senso della profondità, Donata Grossoni mostra che anche i marroni diversi delle tonache e le testoline di frati dietro la linea di un muretto rafforzano quella profondità spaziale prima dell’invenzione della prospettiva rinascimentale. Finché Grossoni indica un altro dettaglio sorprendente. Accanto alla mano destra di Francesco (ha le mani alzante nella posizione della croce perché era l’ “Alter Cristus”), nonostante le cadute di colore si intravede una crocifissione dipinta a secco. Il dettaglio rafforza ancor di più il rimando diretto di Gesù. Da terra quella crocifissione non si vedrà. “Guardi la profonda umanità delle sue figure: il panneggio delle tonache ha un corpo dentro, quel frate ha la mandibola prominente, è una scena di quiete eppure non statica”, rimarca Donata Grossoni. È arte viva, vera.
L’alluvione del 1966 fece danni?
Resta, tra tanti, un interrogativo: l’alluvione del 4 novembre 1966, che tanto danneggiò il Cenacolo di Santa Croce e la grande croce di Cimabue, ha avuto effetti su questi affreschi? Da queste parti l’acqua con fango e altro raggiunse i cinque metri. “Bene non ha fatto, l’umidità non era certo una ‘mano santa’ – risponde la storica dell’arte - ciononostante non ha avuto molto effetto perché la Cappella Bardi è rialzata rispetto al pavimento, sta più in alto”.
Info pratiche sulle visite
Indica i tempi del restauro Caterina Barboni, responsabile della comunicazione di Santa Croce: il programma è terminare nel luglio 2025 o almeno nell’estate; dopo, per un periodo da stabilire, i ponteggi resteranno per permettere visite ravvicinate. Per il momento, grazie al sostegno della Fondazione CR Firenze, potranno visitare il cantiere i residenti nella città metropolitana (quindi dei Comuni che ne fanno parte e non solo del capoluogo) il sabato e la domenica pomeriggio registrandosi al sito dell’Opera. Sotto trovate i link.
L’Opera di Santa Croce è presieduta dalla storica dell’arte e già soprintendente a Firenze Cristina Acidini, direttori operativi del cantiere sono Maria Rosa Lanfranchi e Renata Pintus, l’Opificio è guidato da Emanuela Daffra.
Clicca qui per il sito sul restauro della Cappella Bardi con gli affreschi di Giotto