"Federico Zeri era sedotto dai falsi dell'arte: erano una sfida". Come smascherò le finte teste di Modigliani
La Fondazione bolognese a nome del grande studioso cataloga e pubblica le foto sue e di altri esperti di opere false. Ne parla il direttore Andrea Bacchi che ricorda le sue battaglie sul Trono Ludovisi e sul kouros del Getty Museum. Le foto

Nell’estate del 1984, con un clamore mediatico mondiale, apparvero dal nulla in un canale livornese tre teste spacciate come opera di Amedeo Modigliani. Fu una beffa clamorosa, poi svelata in tv dagli stessi protagonisti. Qualcuno tuttavia aveva pronunciato subito una sonora bocciatura, giudicandole sculture contraffatte, con la consueta franchezza e irruenza e a dispetto di altri pareri illustri: era Federico Zeri, tra i più effervescenti e acuti storici dell’arte di tutto il ‘900. Lo studioso nonché polemista affilato, capace di portare la disciplina al Maurizio Costanzo Show, morì nella sua villa a Mentana sotto Roma a 77 anni nel 1998 e dal lascito del suo patrimonio nel 1999 l’università di Bologna creò un istituto di ricerca, documentazione e formazione specialistica di primo livello nel panorama internazionale, la Fondazione Zeri appunto.
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Oltre a 55mila libri e 41mila cataloghi d’asta l’istituto possiede un autentico tesoro, una fototeca di oltre 450mila foto sulla quale sta conducendo un “progetto di catalogazione e valorizzazione online” che nel titolo dice tutto: “I Falsi nell’archivio fotografico della Fondazione Federico Zeri”. Tra altri programmi l’istituto ha organizzato una mostra fotografica aperta fino al 31 gennaio 2024 sulla Galleria Sangiorgi, attiva a Roma tra ‘800 e ‘900, intitolandola «Il più grande centro commerciale di oggetti d’arte», che si intreccia al discorso sui falsi. Come spiega in fondo a questa conversazione lo storico dell’arte e direttore dell’istituto bolognese Andrea Bacchi.
Perché il tema delle opere false appassionò Zeri per tutta la vita?
Come tutti i grandi conoscitori, Zeri viveva il falso come una sorta di sfida alle sue capacità di riconoscere e individuare le epoche e gli artisti e proprio da questo punto di vista anche i falsi diventano suggestivi e affascinanti. Si può allargare questo discorso ad altri studiosi tanto è vero che i falsi ora pubblicati sul sito della Fondazione comprendono opere provenienti da altre fototeche, presenti qui in Fondazione. Accanto alle oltre duemila foto provenienti dal fondo dello studioso vi sono infatti circa 700 foto di falsi raccolte per anni da Everett Fahy (1941-2018), capo curatore della pittura europea al Metropolitan Museum di New York, e quelle di Luisa Vertova (1920-2021), collaboratrice di Bernard Berenson e a lungo consulente per la casa d’aste Christie’s.
Cosa rappresenta il falso, per un conoscitore?
Per tutti conoscitori il falso è una sfida da cui si sente sedotto, suggestionato. Nel caso di Zeri poi c’era anche un’attenzione maniacale all’archivio fotografico: aveva raccolto e catalogato quasi 300mila fotografie di dipinti, sculture e altre opere d’arte. Un numero impressionante se si pensa che uno storico dell’arte come Roberto Longhi ne aveva circa 60mila.
Nel libro “Dietro l’Immagine. Conversazioni sull’arte di leggere l’arte” (Longanesi & C, 1987, 279 pagine) alle pagine 77-78 Zeri scrisse a proposito di un Ritratto virile, forse raffigurante Sant’Ivo, di Lucas van Leyden alla National Gallery di Londra, ritenuto da alcuni un falso e a suo giudizio autentico: “Nessun falsario può raggiungere mai un così alto livello tecnico-qualitativo e soprattutto nessun falsario riesce a inserirsi nella mentalità di un artista di cinquecento al punto da creare un’opera per la quale non esiste un modello né esistono precedenti”.
Spesso i falsi gettano luce sulle epoche più vicine a noi, quelle cioè in cui sono stati creati; sono quindi testimonianze di enorme interesse perché ci fanno capire, vedere come, alla fine dell’800 o nel primo ‘900 si guardava al Medioevo e al Rinascimento.
Oltre a possedere conoscenze profonde in più campi del sapere, Zeri aveva un occhio formidabile.
Dobbiamo però aggiungere che per, un dipinto o una scultura, il fatto di comparire nella sezione dei falsi del nostro archivio non costituisce una condanna senza possibilità di remissione. Le nostre schede infatti riflettono fedelmente i pareri, le opinioni di Zeri, Fahy e Vertova che hanno ritenuto false queste opere. Inoltre non si deve dimenticare che questi studiosi non hanno pubblicato queste opere come false: le tenevano nelle loro cartelle di lavoro perché avevano un’idea in proposito ma solo quando si pubblica si mette tutto a fuoco l’argomento e si prende una decisione

Quando dai fossi di Livorno saltarono fuori le teste di Modigliani Zeri fu tra i primi a smascherarle come dei falsi e come poi dimostrarono gli autori stessi della burla. Lo muoveva anche una spinta etica, nell’individuare opere false?
Nel caso dei falsi Modigliani credo Zeri volesse anche difendere un’idea di storia dell’arte fondata proprio sulla conoscenza diretta delle opere, del loro stile, prendendo cioè le distanze da una storia dell’arte che privilegiava aspetti teorici, interpretativi, rappresentata allora da studiosi come Giulio Carlo Argan, che, non a caso, aveva accettato come vere quelle sculture. Zeri si scagliò con veemenza perché riteneva che, preliminare a ogni discussione critica, vi dovesse essere la precisa messa a fuoco di un’opera, il riconoscimento dell’epoca in cui è stata realizzata e del suo autore, stabilire cioè se è antica o no, se è autografa oppure no.
Una delle sue battaglie è stata quella sul “Trono Ludovisi”, a suo parere un falso, proveniente dalla Collezione Boncompagni Ludovisi. Palazzo Altemps, una sede del Museo nazionale romano, lo espone come opera della Magna Grecia del 460-450 a.C.
Credo di essere uno dei pochi a rimanere convinto che Zeri avesse ragione: aveva lanciato un’ipotesi che non è stata generalmente accolta dagli storici dell’ arte antica ma, a dire il vero, nemmeno definitivamente confutata. A “Mixer” in tv dette una dimostrazione esemplare di come leggere un’opera d’arte, mettendo in luce le contraddizioni figurative che lui vedeva in quella scultura, spiegò in modo chiaro e icastico le ragioni stilistiche per cui non la riteneva un’opera del V secolo a.C.
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Ha condotto un’altra battaglia sul Kouros del Getty Museum di Los Angeles: era uno dei trustee di quel museo quando affermò che quella scultura, che stava per essere acquistata dal museo californiano, a suo giudizio non era autentica. Alla fine dovette lasciare il museo, era il 1984, il Getty acquistò quel pezzo per una cifra milionaria ma oggi non la espone più e nel sito scrive che gli studiosi non hanno risolto la questione della sua autenticità.
Il museo ha finalmente riconosciuto che Zeri aveva ragione e l’aveva grazie alla sua straordinaria capacità di lettura dello stile. Il kouros è realizzato in marmo, non ci sono quindi analisi diagnostiche che possano dimostrarne l’autenticità perché la pietra è naturalmente antica e il verdetto è affidato solo alla conoscenza dello stile della scultura greca arcaica. È quindi tanto più sorprendente che Zeri, in primo luogo uno studioso della pittura italiana dal Medioevo al ‘700, fosse in grado di esprimere un giudizio così incisivo anche sulla scultura greca di quest’epoca, un campo molto lontano da quello dei suoi studi.
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Perché pubblicate le foto della sua fototeca?
Pubblicare quasi tremila foto fa anche capire quali sono state le epoche e le scuole più copiate dai falsari tra ‘800 e ‘900: moltissima pittura del ‘300 e rinascimentale, soprattutto fiorentina e senese, molta scultura toscana del Rinascimento, i vedutisti veneti del ‘700: i falsari seguivano infatti gli orientamenti prevalenti del gusto collezionistico di una certa epoca. A questo proposito è interessante il caso della Galleria Sangiorgi, attiva a Roma agli inizi del ‘900: studiando gli archivi di Zeri e il fondo dell’antiquario Sangiorgi ci siamo resi conto che molte opere approdate nei musei come opere del Rinascimento e poi individuate come false in realtà erano state commissionate da questo antiquario non come false ma come opere ‘in stile’. Questa galleria romana a inizio ‘900 produceva e commerciava dipinti, sculture e arredi ‘in stile’ per un pubblico che non poteva permettersi gli originali. Sangiorgi aveva un’officina di scultori, pittori e le loro opere venivano create e rivendute come opere moderne ispirate a modelli antichi, non come falsi. Come nel caso degli affreschi di quello che Zeri aveva chiamato il Falsario in calcinaccio: erano opere prodotte dalla galleria Sangiorgi, apparentemente senza intenti truffaldini.
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