Basilico, Chiaramonte, Fontana e Guidi: i viaggi nel mondo e nell'anima di quattro grandi fotografi
Roma ha tre importanti mostre di fotografia: Basilico a Palazzo Altemps sulla città eterna, Fontana con i suoi colori forti all’Ara Pacis, Guidi con un linguaggio sobrio al Maxxi. A Milano il Museo diocesano espone i luoghi dissestati visti da Chiaramonte

Quattro maestri italiani della fotografia in altrettante mostre che raccontano il loro talento, il loro pensiero attraverso lo scatto, la cura estrema nei confronti dell’architettura dell’immagine come il bisogno di esplorare luoghi vicini e lontani: ognuno a modo suo ha compiuto un viaggio nel mondo e nell’anima. Ce lo dicono tre mostre a Roma e una a Milano.
Partiamo dalla capitale. Palazzo Altemps, che con le sue antichità fa parte del Museo nazionale romano del Ministero della cultura, propone le foto su Roma di Gabriele Basilico. A poca distanza sul lungo Tevere il Museo dell’Ara Pacis ospita una vasta e completa retrospettiva di Franco Fontana, il fotografo amante del colore netto, spesso squillante, delle linee nette fino all’astrazione. Nel quartiere Flaminio il Museo Maxxi compie una ricognizione completa sul lavoro di Guido Guidi. Infine Milano: il Museo diocesano documenta il lavoro di Giovanni Chiaramonte.
Si sente l’eco di Luigi Ghirri
Guardando le foto di Chiaramonte, Guidi, sotto certi aspetti anche quelle di Basilico, è forse d’obbligo ricordare Luigi Ghirri, il fotografo emiliano morto ad appena 49 anni nel 1992 perché si intravedono o si vedono i semi di un suo progetto collettivo con una ventina di colleghi, lo storico “Viaggio in Italia” del 1984: fu una mostra e un libro per vedere il nostro Paese con un altro occhio, senza retorica, spesso nella sua realtà in apparenza più banale e quotidiana che invece non è affatto banale e merita uno sguardo. Viene da rammentare Ghirri perché pare di vedere il suo intendimento soprattutto etico verso la fotografia e perché se per caso qualcuno va a Parigi per le feste, sappia che quel “Viaggio in Italia” è fino all’8 gennaio all’Istituto di cultura italiano.
La Roma insolita di Gabriele Basilico a Palazzo Altemps
Nato nel 1944 e morto a Milano nel 2013, laureato in architettura come si deduce dalla meticolosa dalla costruzione delle sue foto oltre che dalle sue visioni di edifici e città, Gabriele Basilico ha interpretato fotograficamente circa 150 città del mondo. Dalla sua Milano in più occasioni ha raccontato per immagini e su commissione anche Roma e fino al 23 febbraio 2025 una sequenza dei suoi scatti è nel rinascimentale Palazzo Altemps del Museo nazionale romano.
Basilico fotografa in bianco e nero tuttavia la mostra riserva una sorpresa: è a colori una serie sul Tevere, dall’Isola tiberina alle sue sponde. Lungo il percorso alcune foto dialogano visivamente con alcune statue classiche. Accade con la foto del piazzale Campidoglio dall’alto accanto alla scultura di un giovane, con l’immagine notturna delle enormi vele della chiesa a Tor Tre Teste progettata da Richard Meier vicina a un torso maschile con il bianco dell’edificio che rimanda al bianco della scultura: un colloquio tra il presente (la chiesa si è inaugurata nel 2003) e il passato remoto.
Curata da Matteo Balduzzi e Giovanna Calvenzi, voluta dalla Direzione generale creatività contemporanea del Ministero della cultura diretta da Angelo Piero Cappello, la mostra ha visto collaborare il Museo nazionale romano, il Mufoco – Museo di fotografia contemporanea di Cinisello Balsamo e l’Archivio Basilico. Dopo Roma è in programma che la mostra vada all’estero.
Quale sguardo traspare da questi scatti? Traspare una visione di grande nitore, razionale, uno sguardo attento alle forme del paesaggio urbano, delle architetture. Non per niente intrigano Basilico architetture razionaliste come il cubo del Palazzo della civiltà italiana all’Eur, gli “scarabei” dell’Auditorium progettato da Renzo Piano mentre risulta assente, ed è sintomatico, l’opulenza barocca. “Il lavoro di Basilico su Roma offre suggerimenti su cosa significa guardare il tempo e le forme della civiltà umana. Ne viene da un lato una inquietudine dall’altro, insieme, una sorta di pace”, commenta il direttore del Mufoco e poeta David Rondoni in conferenza stampa.
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La felicità del colore con Franco Fontana all’Ara Pacis
Oltre 200 foto formano la prima monografica italiana così vasta su Franco Fontana. “Non sono un fotografo di paesaggio, fotografo quello che la vita mi porta. Quando fotografo un paesaggio è il paesaggio che entra dentro di me, si fa l’autoritratto, così anch’io diventi un ‘paesaggio’, per esprimermi al meglio”, dichiara ai giornalisti e giornaliste al piano inferiore del Museo dell’Ara Pacis (altra architettura di Richard Meier) dove sono esposti gli scatti. “Sono un fotografo della vita e la vita è colore, il bianco e nero è tutto inventato”, esclama con evidente felicità per la rassegna capitolina.
In effetti si respira la felicità del colore, delle campiture nette, delle geometrie precise ricavate da dettagli architettonici oppure dalle curve di un terreno collinoso, tra Los Angeles alla Puglia. E uno scatto ad Harlem, New York, dove un uomo cammina sul marciapiede, conferma come il modenese Fontana abbia trovato una linearità delle forme che fa pensare alla pittura astratta e a uno schema ben ordinato. Così come le sue foto nelle piscine rimandano alle piscine californiane dipinte dal pittore britannico David Hockney. Se volete una conferma della sua gioiosità, basta osservare i colori caldi e avvolgenti di un Mare del nord sul giallo-arancione quando di norma lo immaginiamo grigio oppure azzurro. Rammarica il divieto di pubblicare una riproduzione di questa come di altre foto.
Dal titolo “Retrospective” e aperta fino al 31 agosto nel Museo dell’Ara Pacis, la rassegna è curata da Jean-Luc Monterosso e vede più enti coinvolti: l’esposizione è promossa dall’assessorato alla cultura di Roma Capitale, dalla Sovrintendenza capitolina ai beni culturali, è organizzata da Civita mostre e musei, Zètema progetto cultura e Franco Fontana studio, con catalogo pubblicato da Contrasto.
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Guido Guidi, asceta e sperimentatore al Maxxi
Un asceta della fotografia, uno sperimentatore audace. Così potremmo descrivere, in modo impreciso, Guido Guidi: nato a Cesena nel 1941, esplora con colori piani i dintorni della sua città, Porto Marghera, una Sicilia inconsueta dove una casa tenebrosa sembra l’alloggio di qualche fantasma. Il Museo Maxxi riepiloga l’intera carriera del fotografo con la retrospettiva aperta fino al 20 aprile e curata da Simona Antonacci, Pippo Ciorra e Antonello Frongia: si intitola “Col tempo 1956 – 2024”.
Più di 400 gli scatti esposti, molti di piccolo formato, numerosi gli inediti. Sarà la vicinanza geografica ai luoghi natali di Ghirri, saranno le vedute del Cesenate e della pianura, qui le assonanze sono forti. Ciò non toglie che Guidi abbia un suo linguaggio, riconoscibile. La sequenza su Rimini nord, ad esempio: il fotografo scova campi, residui, macchinari nel fango dando l’idea di un dissesto del territorio. Oppure, nella sequenza “Archivio nello spazio”, una modesta casa dal colore pallido diventa significativa e rilevante. E un discorso analogo si potrebbe riversare sulla serie “Bunker”, sui tralicci di una centrale elettrica dietro un muro, sulle case spoglie e grigie senza un cortile dove l’auto azzurra nell’angolo sinistro dona un momento di colore, una tenue vibrazione cromatica.
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La luminosità di Chiaramonte al Diocesano di Milano
Curata da Corrado Benigni, si intitola “Realismo infinito” la retrospettiva su Giovanni Chiaramonte, spentosi nell’ottobre del 2023 a 75 anni, al Museo diocesano di Milano, nei chiostri di Sant’Eustorgio.
Compongono un canto al viaggiare in luoghi per lo più popolati le 40 foto selezionate e scattate dal 1980 ai primi del 2000. Il fotografo a volte esalta una luminosità abbagliante, talvolta ha uno sguardo quasi metafisico, come la piazza di Lisbona con poche figure umane, irreali. È un viaggio che raggiunge le coste nordamericane, con lo sguardo vero l’oceano, così come cattura come una epifania il doppio arcobaleno nella disseccata campagna siciliana e dove il cartello “museo” indica dei cespugli.
“Giovanni Chiaramonte – commenta la direttrice del Museo diocesano Nadia Righi nella nota stampa - ha sempre osservato il reale accogliendolo nella sua totalità, libero da ogni preconcetto”. Gran viaggiatore, il fotografo – scrive Benigni - “sa bene che non c’è nessuna armonia nel mondo. La sua non è una fotografia consolatoria. L’ultima resistenza, sembra suggerirci, è solo quella dell’immagine che mostrando le cose le fa esistere in una luce nuova, come fa la parola nominandole”.
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