Amedeo Modigliani e Jeanne Hebutèrne, quel tragico amore degno di una “Bohème”. Le foto
E' la trama della passione tra il pittore italiano e la pittrice pittrice francese e delle loro vite sfortunate. Lui muore a 35 anni di meningite tubercolare dopo un’esistenza altalenante. Lei è incinta per la seconda volta. Ha salutato l’amato in ospedale. All’alba del 25 gennaio si lancia dal quinto piano
Un amore sconfinato finito in tragedia, l’arte di un genio che conoscerà solo la povertà e diventerà un mito dopo la morte dei protagonisti. Aggiungete Parigi gelida d’inverno, la malattia, un suicidio: sembrano ingredienti perfetti per un feuilleton o per un’altra Bohéme a firma di Puccini, invece è accaduto davvero perché compongono la trama della passione tra Amedeo Modigliani e Jeanne Hebutèrne e delle loro vite sfortunate. Esplicitamente o meno, ne risveglia la memoria un terzetto di appuntamenti espositivi a Firenze.
Prima tappa: in una mostra intitolata “Ritorni da Modigliani a Morandi”, con una quindicina di opere appartenute al collezionista dal gran fiuto Alberto Della Ragione, fino al 15 settembre il Museo Novecento in piazza Santa Maria Novella espone un autoritratto di Modigliani (“l’unico” rimarca il museo). Il quadro è davvero magnifico e commovente e risale al 1919. Mai rientrato in Italia, quando andò in Brasile nel 1946 dopo che nel 1944 Della Ragione per finanziare una galleria milanese antifascista lo aveva venduto a un collezionista brasiliano il quale, a sua volta, lo donò alle raccolte pubbliche del suo Paese. L’autoritratto del pittore con tanto di tavolozza viene dal Museo di arte contemporanea di San Paolo. A cura di Eva Francioli, Sergio Risaliti e Chiara Toti.
Seconda tappa: la galleria e casa d'asta Pananti nel Palazzo Peruzzi de' Medici in via Maggio espone cinque dipinti della Hebutèrne in una mostra aperta fino al 30 maggio “L’École de Paris”. La rassegna comprende disegni del marito ed è nata intorno a un piccolo ritratto in stile tardo ottocentesco, piuttosto convenzionale, proveniente da una casa privata a Iglesias in Sardegna e intitolato “Medea”: attribuendolo a un giovanissimo Modì con il critico Christian Parisot, il gallerista Filippo Pananti lo batte all’asta il 31 maggio da una stima-base di 700mila euro.
Terza tappa: il ritratto “Giovane seduta” del 1905 di Modigliani alla galleria Tornabuoni sul Lungarno Cellini si incunea tra le opere della mostra in corso fino al 12 luglio “Pittura e poesia. Ungaretti e l’arte del vedere” a cura di Alessandra Zingone. Infatti il poeta vedeva lontano e prima di tanti, nelle arti figurative. Andò a Parigi nel 1912, conobbe Modì nel quale vide una delle “personalità straordinarie” al pari di Picasso, Matisse, Boccioni, Kandinsky quando non era scontato definirli campioni di prim’ordine come accade da svariati decenni. In una nota del 1969 ripresa dalla galleria l’autore di “Vita d’un uomo” ricorderà: “Nel 1919, prendo in moglie Jeanne Dupoix […] Abitavamo in rue Campagne Première. C’era allora in quella strada una trattoriuccia gestita da una donna anziana chiamata dai clienti la mère Rosalie. Ai pasti, vi incontravo quasi ogni giorno Modigliani. […] non smetteva di disegnare la gente che era lì, quanto gli balenasse in mente, e lasciava sulla tavola quei pezzetti di disegni che poi furono venduti, penso, dalla proprietaria del locale. […] Insomma, eravamo lì con mia moglie e Modigliani alla stessa tavola, e Modigliani che avevo conosciuto prima della guerra, divenne mio amico”.
Con una vita di stenti Amedeo e Jeanne dipingono entrambi, fianco a fianco. D’inverno a casa si gela, come nella Bohéme pucciniana. Mancano acquirenti alla loro arte, campano di stenti, lui affoga la disperazione nei caffè, con la salute sempre più precaria non si cura. Il finale è drammatico: il 24 gennaio 1920 il pittore livornese muore ad appena 35 anni di meningite tubercolare dopo un’esistenza altalenante e, negli ultimi tempi, sempre più disperata e malsana. Lascia una bambina, Jeanne, di poco più di un anno, che non avrà riconosciuto. La giovane moglie, Jeanne, è incinta per la seconda volta. Ha salutato l’amato in ospedale. All’alba del 25 gennaio si lancia dal quinto piano. Ai funerali di lei, in un sobborgo, andranno in pochissimi. Al contrario al funerale di lui, annoterà il critico André Warnod, “tutta Montparnasse e tutta Montmartre, pittori, scultori, poeti e modelle scortavano il carro funebre […] E il valore delle sue opere, che prima nessuno voleva, salì di colpo alle stelle”.
La citazione viene da un curioso ciclo di eleganti graphic stories dell’anno scorso, “Lovers in Art. Dieci coppie di artisti e amanti” di Giancarlo Ascari (in arte Elfo) e Pia Valentinis. Nel volume pubblicato da 24 Ore Cultura la coppia Jeanne-Amedeo occupa un capitolo. “Vivere nel mondo degli artisti non è facile, viverci in due lo è ancora meno”, scrivono Ascari e Valentinis nell’introduzione. “La Parigi dei primi decenni del secolo, che spesso fa da scenario a questi amori, è un alambicco in cui ribollono forme espressive assolutamente nuove, i suoni e i colori delle Avanguardie artistiche del Novecento. La città è come un magnete”. Eppure, ricordano i due autori, anche in quel mondo in teoria libero dalle convenzioni sociali le donne hanno meno spazio, spesso non sono riconosciute nel loro talento, anzi vengono relegate dietro le quinte.
A questo proposito, i ritratti di Jeanne Hebutèrne suggeriscono una pittrice sensibile a quelle istanze d’avanguardia. I critici d’arte sapranno ravvisarvi quali influenze si annidano nelle campiture nette, nei motivi decorativi negli abiti o nella carta da parati, chissà se ispirati ad artisti e artiste di provenienza russa o comunque orientale e di casa nella allora capitale della cultura europea.
Il gruppetto di dipinti rinnova un interrogativo: come sarebbe evoluta, la sua pittura, se Jeanne non si fosse uccisa all’ottavo mese di gravidanza, a soli 22 anni? Senza dire del destino beffardo del suo giovane marito: la sua opera strappa stime a tanti zeri anche perché Modì morì giovane e bello, perché è un mito talmente popolare da aver ispirato la beffa, esilarante, delle false teste gettate nei fossi di Livorno nell’estate del 1984 e fatte scoprire da tre livornesi audaci e impertinenti.
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