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Io, Achille Bonito Oliva a nudo per un'arte senza confini

Parla Il critico d’arte creatore della “Transavanguardia”. Tra mostre, copertine e tv, lo celebra il Castello - Museo di Rivoli

Stefano Milianidi Stefano Miliani   

"Ho sempre giocato sullo sconfinamento e sull’apertura ad altri linguaggi". Così parla  “Abo”, come lo chiama più d’uno. Lui è Achille Bonito Oliva, uno dei critici e curatori d’arte contemporanea più influenti, mediatici e affermati e che più ha inciso nella scena culturale ben al di là della cerchia degli addetti ai lavori. Su tutto, ha avuto un’impostazione multidisciplinare che oggi è pratica corrente, mezzo secolo fa era invece rara o inesistente, è andato in tv, è apparso nudo su riviste storiche di fumetti e altro come Frigidaire. Dal linguaggio tagliente, capace di sfornare aforismi fulminanti che pubblica in testate come il Giornale dell’Arte, fatte le debite e notevoli differenze, facendo forse drizzare i capelli a qualcuno, per inventiva lo si potrebbe accostare al geniale Federico Zeri per l’arte antica.

Un castello per Achille 

Nato a Caggiano in Campania nel 1939, Achille Bonito Oliva vede riconosciuta l’attività di una vita con la mostra “A.B.O. Theatron. L’arte o la vita” al Castello di Rivoli Museo d’Arte Contemporanea presso Torino dal 25 giugno al 9 gennaio 2022: coordinata e curata da Andrea Viliani, impostata da Carolyn Christov-Bakargiev e dallo stesso critico, raccoglie opere d’arte, video televisivi dagli archivi Rai, documenti, foto. Laureato in Giurisprudenza, Abo iniziò come poeta d’avanguardia partecipando al “Gruppo 63”, il movimento che tentò di rinnovare radicalmente la letteratura e la cultura italiane dei primi anni ’60. A Roma dal 1968, dove ha insegnato all’università La Sapienza, Achille Bonito Oliva dal 2001 ha curato la direzione artistica del progetto “Metro Art Napoli – Le Stazioni dell’Arte”, vale a dire le stazioni della metropolitana napoletana trasformate in luoghi multicolori e vivaci grazie a opere d’artista commissionate per quegli spazi urbani; nel 2014 ha condotto la trasmissione “Fuori quadro” su Rai3.

Vastissima la sua produzione saggistica, moltissime le mostre che ha curato, tra cui una Biennale di Venezia che ha fatto epoca nel 1993, è della fine degli anni ’70 l’opera principale di Abo: ha ideato e guidato la Transavanguardia, a oggi l’ultimo movimento italiano d’arte di rilevanza internazionale che recuperava la pittura come pratica pienamente legittima dell’arte contemporanea dopo anni di negazione della pittura. E che un museo riservi a un critico una retrospettiva è certo fatto poco usuale. Ma forse in fondo Abo, che ha donato al Centro di ricerca di Rivoli Crri il suo archivio, è anche un artista, non è solo un critico.

Bonito Oliva, lei ha reso il critico e scrittore d’arte una figura alla pari all’artista?

Nel caso mio è il curatore che diventa anche curato.

Perché questo passaggio?

Per il fatto che ho dato protagonismo al corpo. Prima il critico era una figura laterale, di sussiego, invece io gli ho dato una visibilità sia con i miei nudi su Frigidaire e il mio comportamento televisivo, sia con un taglio interdisciplinare, multimediale, direi globale, alle mostre che ho fatto dove non c’era solo l’arte ma c’erano anche cinema, teatro, musica eccetera eccetera. Ho sempre giocato sullo sconfinamento e sull’apertura ad altri linguaggi.

Al riguardo ha anticipato i tempi: oggi lo fanno tutti allora, negli anni ‘70 e negli anni ‘80 no.

Veramente ho cominciato nel 1970, poi nel 1973 ho fatto “Contemporanea” nel garage di Villa Borghese a Roma.

A fine anni ’70 lei ha creato il movimento della Transavanguardia. Come mai e da dove ha ricavato il nome?

Il nome è una mia invenzione. Come diceva Flaubert di Madame Bovary, “Madame Bovary c’est moi”, io posso dire “La Transavanguardia c’est moi”. Avevo già scritto dei saggi sul Manierismo, sul ‘500 e mi sembrava che i tempi fossero in qualche modo ricorrenti, così ho selezionato cinque giovani artisti che recuperavano la pittura, il disegno, la manualità. I cinque erano Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi, Nicola De Maria e Mimmo Paladino. Trans significa un’arte di transizione, un’arte che vuole uscire dalla logica della novità ma che può anche utilizzare la memoria.

Ha appena accennato al suo libro "L’ideologia del traditore. Arte, maniera e manierismo nel 1976", un saggio che ha segnato uno spartiacque. L’intellettuale e il critico d’arte sono tuttora esponenti di una crisi come diceva in quelle pagine?

L’arte approfitta anche della crisi per rinnovarsi e continuare, è irresistibile per cui nemmeno la pandemia la può fermare.

Nel 1993 diresse la Biennale di Venezia e la rivoluzionò dislocandola in più luoghi. C’era bisogno di far uscire l’arte dai suoi templi? 

Lo feci perché il mio è un atteggiamento di apertura, di inclusione, di moltiplicazione, di coesistenza tra vari linguaggi, di sconfinare dai luoghi deputati, di uscire dai Giardini dov’era la Biennale e invadere altri spazi della città.

Un bilancio: cosa rifarebbe allo stesso modo e cosa in modo diverso?

Mi comporterei così come sono, sono fatto così, non ho nulla da rimproverarmi. D’altra parte questa mostra con tutta la mia vita al Castello di Rivoli è la dimostrazione che quello che ho prodotto si è diffuso e sedimentato, è accettato dal pubblico e dalle nuove generazioni dell’arte.

Lei ha citato la rivista di fumetti e altro "Frigidaire" dove comparve nudo in copertina, è andato in tv: anche questi sono territori per comunicare l’arte ai non addetti ai lavori?

Naturalmente la critica ha questa funzione, di rispondere e di comunicare. Io l’ho fatto con un protagonismo e con un narcisismo se vogliamo fisico che ha dato un valore al critico non più come figura laterale che guarda il mondo, non lo accetta, vorrebbe cambiarlo ma non agisce. Così l’artista manierista, il traditore del ‘500, del Rinascimento, si trova in una situazione di impossibilità. Allora utilizza la memoria come difesa da un presente che gli sfugge. Quindi la memoria non è nostalgia, è un’arma a doppio taglio.

 

 

 

 

 

Stefano Milianidi Stefano Miliani   
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