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Carla Accardi, la pittrice femminista che non volle farsi ingabbiare dal femminismo. Le foto

In mostra a Roma un centinaio di opere di alto livello dell’esponente dell'arte astratta nata 100 anni fa invita a ripensare ai suoi rapporti tra arte e pratiche femministe dagli anni ’60 e ’70 in poi. Cosa hanno scritto due critiche d'arte

Stefano Milianidi Stefano Miliani   

Nata a Trapani nel 1924 e morta nel 2014 a Roma, dove ha vissuto dai 23 anni in poi, Carla Accardi ha dimostrato una via italiana alla pittura astratta di caratura internazionale per qualità e inventiva e con un corollario determinante: ha dimostrato che si possono creare forme astratte, segni sulla tela travolgenti, immaginifici, segni in grado a volte di rievocare la cultura calligrafica islamica, e al contempo essere prima marxista dichiarata nell’immediato dopoguerra, poi essere femminista già negli anni ’60 e negli anni ’70 del secolo scorso.

In altri termini: Carla Accardi prova che non occorre un’arte didascalica se si condividono principi come la giustizia sociale, i diritti, la lotta contro l’oppressione femminile da parte del mondo maschile. In qualche modo ce lo ricorda e fa ripensare al rapporto tra arte e femminismo (e magari invita a ripensare anche ad artiste incisive e geniali come Maria Lai) la mostra antologica allestita al Palazzo delle Esposizioni di Roma fino al 9 giugno per i cento anni dalla nascita della pittrice a firma di Daniela Lancioni e Paola Bonani, curatrici dell’Azienda speciale Palaexpo.

Da un autoritratto alle forme astratte e al marxismo

Un centinaio le opere, dislocate in un percorso cronologico in sette sale al piano terra, con un ampio capitolo riservato alle opere eseguite colori su prodotti di plastica trasparenti chiamati “sicofoil” in produzione decenni fa. La mostra parte dal Dopoguerra. 
Un giovanile autoritratto del 1947 rimanda agli esordi e un dipinto multicolore dello stesso anno attesta il salto convinto verso la pittura astratta. Con il marito e pittore Antonio Sanfilippo, con gli artisti Ugo Attardi, Pietro Consagra, Piero Dorazio, Mino Guerrini, Achille Perilli e Giulio Turcato nel 1947 costituirà il “Gruppo Forma 1” che rivendicherà un discorso formale nella pittura e marxista del tutto sganciato dall’arte figurativa e realista della cultura comunista ufficiale del tempo (in Unione Sovietica un’accusa di formalismo poteva equivalere a finire in un gulag e sparire, in Italia una persona comunista poteva incappare nella scomunica di Palmiro Togliatti).

Entusiasmo e delusioni con altre femministe 

La mostra ricorda questo passaggio dirimente, nella prima sala. Così come il lungo pannello riepilogativo attraversa, necessariamente in breve, il percorso femminista di Carla Accardi, fatto di entusiasmi, travagli e qualche delusione cocente, umana anzi tutto, senza portarla mai a una abiura.
Dai primi anni ’60 Carla Accardi stringe amicizia con Carla Lonzi, critica d’arte femminista, la quale la introduce nel testo in catalogo che accompagna la partecipazione dell’artista alla Biennale di Venezia del 1964. Insieme a Carla Lonzi Carla Accardi avverte nitidamente di essere non solo un’artista, comprende di essere una donna artista.
Un passo di un articolo online sintetizza il senso per la pittrice di questi anni: “Questo per lei significa collocarsi all’interno di una cultura creata e cresciuta nei millenni soprattutto per mano dell’uomo. Questa consapevolezza le fornisce la possibilità di distaccarsi da tutto quanto l’esistente, condividendo uno dei maggiori problemi che le donne, artiste, scrittrici, provano riguardo al linguaggio: esprimersi nella lingua che è stata creata dall’uomo risulta limitativo e costrittivo”, scrive con precisione Katia Alberti in un articolo pubblicato sul sito Doppiozero il 3 marzo 2014, all’indomani della morte della pittrice

La consapevolezza della “Rivolta femminile” 

La conseguenza: il segno astratto non è affatto una fuga dalla realtà, l’autrice si svincola da una tradizione patriarcale e si aggancia, viceversa, a una tradizione femminile secolare, anzi millenaria. Sul muro la mostra romana riproduce giustamente “Rivolta femminile”, manifesto affisso sui muri di Roma nel 1970 e scritto dall’omonimo gruppo formato da Carla Lonzi, Carla Accardi e da Elvira Banotti e con il logo disegnato dall’artista. Era il 1970 e ricordiamoci che, allora, poco prima della legge sul divorzio e molto prima della legge sull’aborto oggi contestata dai neoconservatori, esporsi così era un atto che dimostrava forza e coraggio, come usa dire.

Assedio rosso n. 3, 1956 (particolare). Collezione privata, Firenze, alla mostra su Carla Accardi al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Courtesy Tornabuoni Arte. © Carla Accardi by SIAE 2024

La rottura con Carla Lonzi, femminista radicale

Il sodalizio con Carla Lonzi tuttavia si lacera con gran dolore. L’intellettuale ritenne la pratica di critica d’arte troppo vuota rispetto alla militanza e voleva imporre un’analoga vocazione alla pittrice. La quale, come rammenta Daniela Lancioni nel catalogo edito da Quodlibet, per nostra fortuna non volle mai abdicare alla sua arte astratta, non la riteneva una pratica contraria al femminismo così come non aveva considerato incompatibile una ricerca artistica pura con le idee marxiste nel dopoguerra. “Accardi non condivide questo atteggiamento radicale, non vuole rinunciare all’arte e non condanna la produzione artistica contemporanea”, scrive ancora Katia Alberti su Doppiozero. Con Carla Lonzi e “Rivolta Femminile” fu rottura. Una rottura dolorosa come può essere separarsi duramente da una amica con cui ha spartito idee e battaglie in un mondo prettamente maschile.

Con la Cooperativa del Beato Angelico torna militante 

Qualche anno dopo, nel 1976, Carla Accardi darà vita con altre all’esperienza della “Cooperativa del Beato Angelico” e vale riprendere un passo dal saggio in catalogo di Daniela Lancioni perché chiarisce bene come quei segni e quei colori sulla tela non confliggano affatto con un’idea “femminista” dell’esistenza.
Scrive infatti la curatrice: “La Cooperativa di via Beato Angelico era nata nei primi mesi del 1976 per iniziativa di un gruppo di donne – Carla Accardi, Nilde Carabba, Franca Chiabra, Anna Maria Colucci, Regina Della Noce, Nedda Guidi, Eva Menzio, Teresa Montemaggiori, Stephanie Oursler, Suzanne Santoro, Silvia Truppi – «con il proposito di presentare il lavoro di donne artiste che operano e hanno operato nel campo delle arti visive» e «di studiare, raccogliere e documentare tale lavoro». Attiva per poco meno di due anni, la Cooperativa contribuì ad arricchire la costellazione di gruppi e collettivi che nel corso degli anni Settanta si costituirono sulla base del principio di “autodeterminazione” per difendere e valorizzare il punto di vista delle donne all’interno dei diversi ambiti sociali. Con la Cooperativa di via del Beato Angelico, Carla Accardi tornò alla militanza femminista”.

La scelta dell’autocoscienza per essere libera

Riprendendo il passaggio precedente del “Manifesto di Rivolta Femminile” Daniela Lancioni affronta un nodo centrale della vicenda creativa e ideologica di Carla Accardi e, se vogliamo, che può stimolare e interessare molto il femminismo odierno. Scrive la curatrice: “La scelta dell’autocoscienza, come unica strada percorribile dalla donna per accedere a una condizione di libertà e autenticità […] era, in un certo senso, coerente con la storia di Carla Accardi. Al di là del paragone che può sembrare anacronistico, come per Forma l’arte pura non andava sacrificata alla politica, così per Rivolta Femminile l’autenticità del gesto rivoluzionario non andava sacrificata «né all’organizzazione, né al proselitismo». L’arte, quindi, anche quella di una femminista, poteva rimanere un’arte pura (al netto della sua autenticità)”.

Visse arte e femminismo in totale autonomia 

Anche con la Cooperativa del Beato Angelico fu però rottura. Riprendiamo di nuovo le parole di Katia Alberti: “La sua totale autonomia nel modo in cui visse il femminismo in rapporto all’arte,  è stato uno dei motivi di allontanamento anche dalla Cooperativa, che nel 1978 si sciolse. Molti anni dopo Accardi affermò che l’insistere sulla differenza portava i gruppi femminili a concentrarsi sull’artigianato in cui l’esperienza della donna era maggiore, deludendola. Una delusione che è stata alla base anche dello scioglimento della Cooperativa”. Il discorso a questo punto ci pare chiaro e, inevitabilmente, complesso.

Hanno promosso la mostra su Carla Accardi l’Assessorato alla cultura di Roma Capitale e l’Azienda speciale Palaexpo che l’ha ideata e prodotta affiancato dall’Archivio Accardi Sanfilippo e con il sostegno della Fondazione Silvano Toti. Le opere sono indiscutibilmente di qualità eccelsa.

Clicca qui per il sito della mostra a Roma

Clicca qui per l’Archivio Accardi Sanfilippo

Clicca qui per l’articolo su Carla Accardi di Katia Alberti su Doppiozero 

 

 

Stefano Milianidi Stefano Miliani   
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